Panoramica sui finalisti del Premio Equilibrio 2014
I nomi di punta del programma di Equilibrio 2014, ancora diretto da Sidi Larbi Cherkaoui (che aprirà le danze stasera stessa), non sono ancora di scena. I primi due giorni di apertura sono infatti stati dedicati agli studi dei finalisti del settimo Premio Equilibrio, selezionati proprio dal coreografo belga e ora al vaglio di una giuria internazionale. 20.000 euro di sostegno alla produzione e il debutto nel programma dell’edizione 2015 del festival sono un premio piuttosto ambito, al quale la Fondation BNP Paribas aggiunge una menzione speciale di 10.000 euro al miglior interprete, permettendogli poi di scegliere un coreografo internazionale a cui commissionare un solo.
A giudicare dalle ovazioni che, a fine di ogni pezzo, provengono da settori differenti della gremita platea, il Teatro Studio ospita di certo (e giustamente) qualche sostenitore invitato dagli artisti stessi. Ed è bello assistere a questo tipo di sostegno, soprattutto quando poi il resto del pubblico è quello degli appassionati, quello che il Parco della Musica di fatto riesce sempre a richiamare.
Le energie in campo sono energie giovani, la forma dell’arte che propongono porta con sé la vibrazione feconda di qualcosa di indefinito, ma non sempre l’umiltà che (ancor più che la sicurezza) occorrerebbe a sostenerla.
Il solo di Irene Russolillo, Strascichi, è l’esperimento più interessante della prima serata, ben portato da una indubbia presenza scenica a dare potenza nella performance: una danza sottile e nerboruta, fatta di accenti fulminanti e di un uso smodato e sporco del corpo, che occupa tutto lo spazio servendosi di un microfono in cui cantare a squarciagola e tossire e di uno schermo su cui scorre la traduzione di versi declamati in inglese. Leonard Cohen, Wisława Szymborska e Beckett tenuti insieme da musiche e arrangiamenti originali. In un misto di rabbia graffiante e di insofferenza, il racconto dei brandelli di un’unione rivive in uno studio che appare promettente, anche se troppo frammentato nella struttura. Meritato il Premio Speciale come Miglior Interprete.
Più fluido il movimento immaginato da Andrea Gallo Rosso in I Meet You … If You Want, due danzatori alle prese con un gioco a canone che, in qualcosa di simile a una contact improvisation rivisitata, li fa inseguire come ombre continuamente in asincronia. Il buon potenziale visivo è raggiunto soprattutto con l’ottima esecuzione che punta molto sulla trovata di non interrompere mai davvero il movimento, come se l’occhio stesse guardando il rotolare di piante leggerissime sotto la spinta continua di una lieve brezza, non riesce apparentemente a sostenere la durata non eccessiva, ma bisognosa di qualche passaggio di ritmo diverso dal semplice compiacimento. Ed è così che la sequenza finale in cui il canone dei movimenti fa il verso all’inseguirsi delle voci di Simon and Garfunkel in Scarborough Fair suona come un’eccessiva strizzata d’occhio.
[In]Quiete sono le due danzatrici presentate da Annamaria Ajmone, subito più “rock” nell’atteggiamento, tra luci stroboscopiche e una continua tensione sessuale che le tiene incatenate nelle evoluzioni a terra e nella ricerca di un equilibrio per quella che, al battito profondo della musica, sembra la camminata di una creatura ibrida.
La partitura esotica di Tommaso Monza in ROD – studio per IL KHAN si sposta centinaia di chilometri a Est per raccontare l’eterna dicotomia con l’Ovest: l’interazione di quattro corpi (due maschili e due femminili), che aggiungono al dialogo il disturbante contrappunto di un martello sbattuto contro lamine di ferro, indagando le atmosfere e i costumi delle steppe kazake.
La seconda serata offre l’efficace minimalismo di Damiano Ottavio Bigi e Africa Manso Asensio, che in Container maneggiano due brillanti secchi d’acqua. L’impostazione classica della danza di Bigi, ben temperata e segnata dall’approdo al Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, incontra un’ottima disciplina del movimento nella spagnola Asensio e sembra disegnare, con un’impostazione in parte concettuale e “teatralizzata”, la dimensione interiore dello scambio e della condivisione di sguardo.
Più tecnico e arioso ma non meno preciso è il solo di Manfredi Perego, Grafiche del silenzio, il migliore secondo la Giuria, che ibrida la forma morbida in un’arte marziale giapponese con una sperimentazione sulle reazioni muscolari, ottenendo un risultato calligrafico ma che resta in parte freddo, forse troppo studiato a tavolino: anche quell’espansione più elettrica risulta così una massa di reazione all’elastico della lirica, della maniera, del corpo scultoreo troppo ben disegnato dalle luci.
Immancabile, infine, un tentativo ibrido come quello dell’ultimo gruppo, guidato da Moreno Solinas, sardo residente a Londra: il titolo Tame Game indica l’atto (reso giocoso) di domare, di addomesticare un animale e mette di fatto in scena in maniera ironica alcuni luoghi comuni della formazione del danzatore, usando un linguaggio più vicino al teatro danza e al lavoro di alcune compagnie con cui Solinas ha lavorato, come DV8 e Bonachela Dance Company, che strizzano l’occhio anche a certo teatro postdrammatico, con tanto di cartelli didascalici. Portata avanti da una danza precisa e ariosa, la commistione grottesca non manca di generare qualche sincera risata, ma fallisce un vero intento incendiario o provocatorio, ricordando troppo bene – soprattutto nei giochi sulla censura del nudo – troppi altri esperimenti.
Il complesso delle due serate non sembra aver riservato momenti realmente stupefacenti. E però il contesto imposto dalla serata/contenitore ha di certo giocato, come sempre, il proprio ruolo.
«I gesti sono assemblati in una data situazione – un ambiente – da cui ricavano energia. L’indeterminatezza del contesto favorisce lo sviluppo di nuove convenzioni, che in teatro verrebbero soffocate da quella del “recitare”». Queste parole (nella traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini per Johan & Levi Editore) comparivano in un saggio dell’artista e scrittore statunitense Brian O’Doherty dal titolo Inside the White Cube. The Ideology of the Gallery Space e si riferivano alle performance dell’artista tedesco Kurt Schwitters. Ma potrebbero riferirsi a qualsiasi forma di performance che abbia connotazioni astratte. Come appunto la danza.
Sergio Lo Gatto
Twitter_@silencio1982
visto a Auditorium Parco della Musica di Roma, nel febbraio 2014.
Le motivazioni della Giuria:
“La giuria internazionale del Premio Equilibrio 2014 è rimasta favorevolmente impressionata dalla qualità e dalla varietà delle proposte dei candidati. Non è stato facile giungere a una decisione finale ma, dopo ampia discussione, abbiamo il piacere di annunciare i vincitori. Che sono i seguenti:
Premio per la miglior coreografia a Manfredi Perego. Con questa motivazione: la sua pièce Grafiche del silenzio è risultata inventiva e avvincente, ispirata e intelligente, non solo nella concezione, ma anche nella realizzazione. Ciò è reso ancor più rimarchevole dal fatto che si tratta del primo lavoro di questo coreografo molto promettente. Manfredi ha mostrato inoltre di avere una visione chiara e convincente della direzione lungo la quale vorrà sviluppare le sue coreografie.
Premio per il miglior interprete a Irene Russolillo. Nella sua pièce Strascichi ha mostrato di essere una performer profondamente poetica, pronta ad assumere rischi e a mettere in campo la sua personale vulnerabilità, in grado di trarre forza da entrambe le qualità. Si tratta di caratteristiche che si manifestano non solo nella danza, ma anche nell’uso della voce e nella scrittura. La Giuria ritiene che all’artista gioverebbe collaborare con un coreografo esperto e sensibile nei confronti del suo talento creativo.
Inoltre, Adolphe Binder, membro della giuria di questa edizione, direttrice artistica della Göteborgs Operans Danskompani, ha formulato un invito speciale ad Annamaria Ajmone a partecipare a un workshop con la sua Compagnia, in riconoscimento della intensità e del dinamismo di Annamaria come danzatrice e come coreografa.”