Intervista a Claudio Longhi, regista del progetto Il Ratto d’Europa
Dell’ampio progetto sull’identità del nostro continente (e le sue crisi) che, sotto il nome di Ratto d’Europa, ha formato in mesi di lungo lavoro un asse di coproduzione tra Emilia Romagna Teatri e Teatro di Roma, avevamo già parlato in questo articolo, mettendo a fuoco soprattutto il lato drammaturgico, le motivazioni di urgenza e l’idea di un laboratorio permanente. Dopo che già un anno fa Roma aveva ospitato in luoghi dislocati nella città alcuni interventi, ne accoglierà altri (qui il calendario completo) fino al 29 aprile prossimo, data in cui lo spettacolo conclusivo debutterà al Teatro Argentina. Abbiamo chiesto a Claudio Longhi, regista, coordinatore e animatore del progetto insieme a un’agguerrita squadra di collaboratori, di rispondere a qualche domanda, di fare un punto. Egli, come al solito disponibilissimo al dialogo, ci ha fornito un vero e proprio piccolo viaggio in quello che chiama «provvisorio stato dell’arte» del progetto, una cronaca precisa.
Mentre è cominciata l’ultima serie di incontri qui a Roma, in che fase si trova il progetto?
Per un verso i LaboRat stanno continuando a lavorare a pieno ritmo per raccontare la loro idea di Europa, mettendo così a punto il materiale drammaturgico che dovrà costituire la base della creazione finale.
LaboRat?
In questi ultimi mesi, sono attivi circa trentasei laboratori di drammaturgia e messa in scena che coinvolgono gli interlocutori più vari, dalle Scuole elementari alle Università, dagli abbonati del Teatro di Roma ai Centri anziani o ad associazioni di vario tipo. Parallelamente si stanno mettendo a punto i rapporti di collaborazione con le diverse realtà, dai cori ai gruppi sportivi, che saranno direttamente coinvolti nell’allestimento della prossima primavera.
Quindi uno degli obiettivi è il coinvolgimento dei cittadini.
Un coinvolgimento attivo, certo, dei cittadini di Roma nei processi creativi di messa in scena dello spettacolo conclusivo, ma nelle intenzioni c’è anche e soprattutto l’avvio di una riflessione il più possibile “aperta”, e non viziata da facili pregiudizi, su cosa l’Europa rappresenti oggi nelle nostre vite e, prima ancora, su cosa sia, per noi, l’Europa.
Non abbiamo avuto modo di parlare della rassegna cinematografica L’Europa che ride, che il Teatro Argentina ha ospitato dal 10 gennaio al 2 febbraio. Di che cosa si trattava?
È stato un ciclo di proiezioni realizzato in collaborazione con l’Eunic (European Union National Institutes for Culture) e la Casa del Cinema, per dimostrare che l’Europa non è solo un “mercato” comune (finanziario o economico poco importa), ma è in primo luogo uno spazio culturale di incontro su cui l’edificio economico-finanziario può poggiare, ma senza il quale questo edificio non potrebbe esistere. Una sorta di esplorazione comica di vizi e virtù dei paesi dell’Unione.
E adesso ci siamo tutti imbarcati in un Giro d’Europa in ottanta giorni.
Il Ratto d’Europa prosegue la propria inchiesta intorno alla vera identità del vecchio continente. Se, come anni fa ha scritto il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, l’Europa, a partire dal suo mito “eziologico” cantato da Mosco, è in primo luogo «un’avventura», forse il modo migliore per cercare di capirla è infatti quello di “raccontarla in marcia”. Abbiamo cominciato il 3 febbraio per concludere il 23 aprile, organizzando un ciclo di dodici appuntamenti durante i quali altrettanti ospiti d’eccezione, della più varia estrazione (fisici e musicisti, giornalisti, critici teatrali e romanzieri, storici dell’arte e storici del teatro o politici…) hanno accettato di venire a renderci testimonianza del loro rapporto con una città europea, sulla scorta delle loro dirette esperienze di vita, o ripercorrendo per rapidi scorci grandi capolavori dell’arte antica e moderna (in bilico tra letteratura, musica ed arti visive).
Ci puoi fare qualche esempio di intervento?
Il frastagliato romanzo di viaggio in forma di Grand Tour che scaturisce dal montaggio di questi microracconti, indifferentemente incentrati su grandi capitali o piccole città del vecchio mondo, è stato realizzato sulla base dell’incontro tra il Teatro di Roma e le Biblioteche di Roma. E mentre alcuni agenti del Ratto battono le strade del nostro continente, il cui paesaggio in fondo – come ben ci ha insegnato George Steiner in Una certa idea d‘Europa – è stato modellato dal piede umano, altri attendono alla preparazione del grande atelier del prossimo marzo (8-9 e 15 marzo). A novembre duecento romani erano saliti sul palcoscenico dell’Argentina per dar voce alla storica Euromarattona snodatasi tra la battaglia di Maratona e il trattato di Maastricht; oggi puntiamo a raccogliere seicento amici che abbiano voglia di condividere con noi alcune ore del loro tempo libero per scoprire che fine abbia fatto Europa, rapita da millenni. Intorno al Giro d’Europa e all’atelier dei Seicento, assi portanti del progetto per queste prossime settimane, si snodano poi tutta una serie di attività parallele: Desk!. Il giornale del ratto, prodotto di un’autonoma redazione di studenti di varie scuole superiori romane, si prepara alla sua terza uscita; sulle pagine del Sole 24Ore, Silvia Bernardi, incrociando a tratti le scorribande del Ratto, prosegue la sua riflessione sull’importanza di cercare «Più Europa», ragionando di musica, cinema, ricerca scientifica, programmazioni culturali e finanziamenti in una pluralità di approcci perfettamente organica alla totale trasversalità del progetto. E ancora, nell’ambito del Festival della Narrativa Francese, presso l’Institut Français – Centre Saint Louis, alcuni attori del gruppo di lavoro danno voce alla grande letteratura in lingua francese di oggi. Non mancano poi le collaborazioni con le radio a cominciare dagli special di Rattosapienza… E intanto collazioniamo e schediamo le cartoline “Per me l’Europa è…” che, ad ogni appuntamento, ci regalano i nostri fedeli o estemporanei compagni di viaggio.
Arrivo alla domanda con la quale ho introdotto questo articolo: dalla tua prospettiva è possibile tracciare un bilancio di questo progetto?
Impossibile. È un percorso ancora pieno di sorprese, in presenza e on line, di cui l’unica documentazione possibile è l’archivio, in continua espansione, del nostro sito. Una cosa è però certa, dopo la tappa modenese della scorsa stagione, l’incontro con Roma ha messo in moto un nuovo immaginario, aprendo nuove finestre sul nostro continente e scatenando nuove energie creative. Come speravamo fin dall’inizio, ancora una volta sta cambiando la nostra idea di Europa, si sta arricchendo di nuove luci e di nuove risonanze, così come stiamo sperimentando un diverso modo di abitare una città. Inevitabilmente Roma ci ha imposto altre strategie di approccio al problema del rapporto tra il teatro e la sua comunità di riferimento, e questo diverso sguardo si traduce in un continuo e prezioso invito a crescere.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982