Recensione di 生长Genesis di Sidi Larbi Cherkaoui
Insita all’idea di equilibrio vi è una costante fascinazione data dall’instabilità, dal pericolo dell’ignoto che sta oltre la nostra infinitesimale porzione di spazio in cui proviamo a librarci, come sospesi su di un filo. Ma Equilibrio è anche il nome del Festival della Nuova Danza, che quest’anno festeggia la sua decima edizione.
Dopo le due giornate iniziali dedicate al Premio per giovani coreografi ad esso correlato (leggi l’articolo di Sergio Lo Gatto), fa seguito l’ultima produzione del direttore artistico del festival Sidi Larbi Cherkaoui. Ancora una volta l’Oriente rimane orizzonte privilegiato del coreografo belga; dopo la filosofia shaolin di Sutra, dopo l’india di Play o di Tempus Fugit, dopo il Giappone fumettato di TeZuKa, è la volta di生长 Genesis, nato dall’incontro tra la propria compagnia, Eastman e quella della celebre coreografa cinese Yabin Wang.
Quella raccontata per quadri che scivolano l’uno sull’altro con naturalezza sembra essere un’originale messa in forma di ogni processo creativo, da quello riproduttivo fino ad arrivare all’episodio biblico; dall’incontro di cellule, dalla formazione di un elemento naturale fino alla tentazione di Eva (in cui magistralmente il serpente tentatore è la stessa Yabin Wang, danza spettrale di perdizione e cattura). È una genesi che dall’algidità di un ospedale, dalla meccanicità cinetica fluida o spezzata – guidata con coscienza oppure al contrario, mirabilmente imposta da fili invisibili in una danza per burattini senza ancora una vita –, si sposta gradualmente verso una dimensione più astratta ma non per questo meno reale o comunicativa. I danzatori vestono camici e mascherine da chirurgo, si prestano a quel mondo ospedaliero fatto di flebo, di neri libretti, di fredda osservazione, per poi abbandonarlo preferendogli altri evocativi piani.
Quasi fosse l’inquadratura di una macchina da presa, Cherkaoui modella immagini d’insieme in cui i corpi sono un’unica massa, oppure – con un effetto “blow-up”, impensabile senza l’apporto illuminotecnico – inquadra i dettagli, concentrando l’azione sulle mani, su braccia sproporzionatamente lunghe, sulla sinuosità dei lunghi capelli neri delle due danzatrici, protagonisti di più di un momento.
La grandissima cura della componente formale – che trova in una costante armonia simmetrica il suo corrispettivo sconvolgimento di linee, il suo contrario – non rimarrà involucro freddo, distaccato dall’espressività d’insieme, anzi. Il contrappunto di pieno e vuoto sembra essere ben rappresentato dalle cabine di vetro mobili nelle quali agiranno i sette danzatori, muovendosi su di esse o integrandole nell’azione coreutica; l’immagine sempre cangiante vibra di questa pienezza trasparente, resa visibile dall’azione dei performer, dalla loro manipolazione o dal loro passaggio, di cui rimane calda scia nell’impronta sul vetro. Il fidato ensemble di musicisti presenti in scena per tutto lo spettacolo (due dei quali anche danzatori), costruisce un tappeto sonoro dalla forte pregnanza emotiva. È la musica a condurre il gioco, introducendo l’atmosfera e servendosi tanto dell’espressività del pianoforte quanto della musica elettronica (o del rumore di una macchina da scrivere, perché no?); integrando la dolcezza fluida della chitarra ai ritmi vorticosi del mridangam, tamburo a due membrane che trova nella voce del suo esecutore elemento complementare efficacissimo. Ma questa texture ritmica martellante non è meno coinvolgente del flusso cristallino delle altre voci che completano il quadro: calde, misteriche, nostalgiche guidano i corpi quanto i musicisti seguono i danzatori.
Il risultato è di grande intensità, l’abilità tecnica di ogni performer supporta e sorregge un discorso poetico che mixa con naturalezza danze diverse, immagini e suono. L’efficacia di questa Genesis potrebbe essere racchiusa in un lungo intervento di “contact juggling”, in cui la maestria nel giocolare con le sfere di cristallo innesca una poesia che incanta, il virtuosismo diventa magia che ferma il tempo, blocca il respiro. Siamo ancora appesi in bilico a quel filo, in equilibrio, sulla punta delle dita.
Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti
Visto presso l’Auditorium Parco della Musica in febbraio 2014
生长GENESIS
Coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui
Assistante coreografo Satoshi Kudo
Musiche composte da Olga Wojciechowska
Danzatori Yabin Wang, Qing Wang, Fang Yin, Chao Li, Elias Lazaridis, Kazutomi Kozuki, Johnny Lloyd
Altre musiche di Sidi Larbi Cherkaoui, Manjunath B Chandramouli, Kaspy N’dia, Barbara Drazkowska, Johnny Lloyd, Kazutomi Kozuki
Musiche dal vivo eseguite da Barbara Drazkowska, Manjunath B Chandramouli, Kaspy N’dia, Johnny Lloyd, Kazutomi Kozuki
Scene Liu Kedong
Luci Willy Cessa
Costumi Li Quing
Direttore prove Elias Lazaridis
Direttore tecnico Patrick ‘Sharp’ Vanderhaegen
Tecnici Mathias Batseleer, Janneke Hertogs, Elke Verachtert, Jef Verbeeck, Krispijn Schuyesmans
Guardaroba Elisabeth Kinn Svensson
Produzione Yabin Dance Studio, Eastman
Coprodotto da deSingel International Arts Campus – Antwerp, Kampnagel Hamburg, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Parc de la Villette (Paris), Sadler’s Wells (London), Festival Montpellier Danse 2014, Monaco Dance Forum, Fondazione Musica per Roma, Festspielhaus Sankt-Pölten