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Antonio e Cleopatra. De Fusco e i marmi del passato

Recensione di Antonio e Cleopatra,  regia di Luca de Fusco

 

Antonio e Cleopatra
Foto Fabio Donato

Tra le poltrone di una pomeridiana all’Eliseo, nel teatro romano dove un tempo il pubblico affollava le repliche di nomi eccellenti e un tempo noti, a volo d’airone e non d’aquila si osserva una sala in cui si mescolano gruppi di studenti quasi costretti da insegnanti appassionati, fedeli inguaribili dell’arte scenica, assieme a commoventi coppie di spettatori per cui oggi il teatro può dirsi forse status sociale ma ch’è di certo stato un luogo d’incontro di tempi giovanissimi; chissà, che bello immaginare che in passato qualche innamorato si fosse proprio qui cercato, scelto e nel tempo avesse seguito in emozioni d’altro rosso il rosso di platea. La vaghezza è parte della percezione, ogni teatro sarebbe identico agli altri e sé stesso, se a vederlo, a frequentarlo, non ci andassero donne e uomini. Due, un uomo e una donna, seduti di fianco si studiavano una stampa di computer, il programma di sala 1.0 (più evoluto, 2.0, sarebbe stato averlo direttamente su tablet…) mutuato dalle note di Wikipedia, formattato alla buona su un foglio A4 e spiegazzato in tasca fino a poco prima, quando entrambi hanno deciso ch’era il tempo di scoprire, a una manciata di minuti dall’inizio, di quale intenzione William Shakespeare avesse intriso la sua tragedia Antonio e Cleopatra, composta nei primi anni del 1600 e riportata sulle scene oggi da Luca De Fusco, con due attori di rango nei panni dei protagonisti: Gaia Aprea e Luca Lazzareschi.

Siamo nel dominio della Roma Imperiale di cui l’arte ha cantato la grandezza e, talvolta, l’ha eretta a paradigma di sentimenti eterni, passioni e conflitti d’ineluttabile maestà. Marco Antonio, reduce da un celebre discorso al Senato dopo la morte di Giulio Cesare in un’altra tragedia, di pochi anni prima e che fior di attori hanno fatto vibrare tra le corde vocali, è ora maturo per raccoglierne l’eredità e, con essa, le passioni terrene. Cleopatra è regina d’Egitto, maliarda seduttrice di qualche generazione di imperatori. Fra di essi forse solo questo Antonio, d’animosi sentimenti mosso e dagli stessi lacerato, fin quasi immobilizzato, misura la vera ebbrezza di un calice che non disseta, quello d’amore che rende il potere orpello (o vorrebbe), quasi un peso al liberare degli istinti.

Antonio e Cleopatra
Foto Fabio Donato

Fin qui la storia antica, o almeno un frammento minuto di quella teatrale. Ma dalla sala gli occhi penetrano il buio per disvelare il teatro che si fa oggi, pur maneggiando materiali di epoche passate. E allora un buio atemporale gli occhi se li prende e ci sfuma presenze di fantasmi scultorei, busti in movimento narrano una storia di guerre, intrighi, ma soprattutto dell’impossibile amore, schiacciato dall’esercizio di potere. C’è un telo velato, largo quanto il palco, e dietro una gradinata di teschi che osserva e si lascia osservare. Di polveroso marmo si ammanta il racconto, non ci sono battaglie e corpi vivi e sangue ma tutto è proiettato o sottratto tra buio e sfumature, grazie ai chiaroscuri delle luci, tra il pallore impreciso e la nettezza del nero fondo, le presenze che appaiono in alto o in basso della scena sono appunto quasi oniriche e hanno come riferimento più che il teatro lo storico sceneggiato televisivo, replicato in frammenti video che ripetono sul velo-schermo la scena svolta dal vivo dagli attori in scena.

I lineamenti scolpiti della muscolatura stringono gli abiti fino alla cinta e vestono di vigore leggendario i protagonisti della vicenda: Cleopatra, melodrammatica e capricciosa strega, di una stridula isteria ma colma d’amore copre il piglio di un Antonio che ha perduto, amando lei, gli avamposti del suo comando. Gaia Aprea è una regina sensuale, stretta in un’erotica silhouette usa il corpo come un’attrice d’altri tempi e si dona alle cure di un Antonio stentoreo, Luca Lazzareschi cui non è ignoto il Vittorio Gassman shakespeariano (in alcuni punti la somiglianza è lampante, nelle proiezioni da sceneggiato sorprendente) e che meglio di tutti tiene il piglio attoriale in una pièce che degli attori necessita, perché se ne abbia buon ricordo. Già, perché quel velo prima o poi denuncia la propria distanza, l’estetica ridotta a un’idea di alternanza fra buio e marmo, fra sanpietrini e mare, Roma ed Egitto, pur di un’ottima accoglienza si stempera nella durata e non lascia il posto ad altre proposte interpretative. Questa inconsistenza creativa, che coglie buona parte del teatro cosiddetto di tradizione, o meglio di rappresentazione, manca una volta ancora l’occasione di disegnare un paesaggio in cui far apparire la contemporaneità e dispone una lettura conservativa del testo shakespeariano. Fortuna che il Bardo, rivelando la schiacciante discordia tra la ragione del potere e la passione rovente, tra i confini della legge umana e la tensione a superarli dell’individuo, al problema di dialogare con la contemporaneità da solo risponde, da più di quattrocento anni, già mirabilmente.

Simone Nebbia
Twitter @simone_nebbia

Fino al 9 febbraio 2014 al Teatro Eliseo [cartellone 2013/2014] Roma

ANTONIO E CLEOPATRA
di William Shakespeare
traduzione di Gianni Garrera
regia Luca De Fusco
con Paolo Cresta, Stefano Ferraro, Serena Marziale, Giacinto Palmarini, Alfonso Postiglione, Federica Sandrini, Gabriele Saurio, Paolo Serra, Enzo Turrin
e con la partecipazione in video di Eros Pagni
scene Maurizio Balò
costumi Zaira de Vincentiis
luci Gigi Saccomandi
musiche Ran Bagno
coreografie Alessandra Panzavolta
si ringrazia il Teatro di San Carlo per la partecipazione in video del Corpo di ballo
produzione Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Arena del Sole | Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

6 COMMENTS

  1. Caro Antonio, quindi vuol dire che non mi sceglierai per scrivere i tuoi discorsi al Senato romano? E io che ci avevo sperato… quello che hai fatto su Giulio Cesare, fammelo dire, era francamente lucidissimo. Beato te che hai queste virtù…

  2. “Tra le poltrone di una pomeridiana all’Eliseo, nel teatro romano dove un tempo il pubblico affollava le repliche di nomi eccellenti e un tempo noti, a volo d’airone e non d’aquila si osserva una sala in cui si mescolano gruppi di studenti quasi costretti da insegnanti appassionati, fedeli inguaribili dell’arte scenica, assieme a commoventi coppie di spettatori per cui oggi il teatro può dirsi forse status sociale ma ch’è di certo stato un luogo d’incontro di tempi giovanissimi; chissà, che bello immaginare che in passato qualche innamorato si fosse proprio qui cercato, scelto e nel tempo avesse seguito in emozioni d’altro rosso il rosso di platea. La vaghezza è parte della percezione, ogni teatro sarebbe identico agli altri e sé stesso, se a vederlo, a frequentarlo, non ci andassero donne e uomini.”. Utilissimo per comprendere lo spettacolo….

    • Francesca, le ho già risposto su Qui e ora. Complimenti per il tempo che mi dedica, anzitutto. Non è da tutti avere così tanto tempo per rintracciare “tutti gli elementi di un articolo di Simone Nebbia che non riguardano lo spettacolo”. Potrebbe essere il titolo di un suo prossimo intervento d’inchiesta. Ma su cosa? Anche riguardo questo esempio: la descrizione ambientale è pratica usuale del giornalismo, maggiormente critico, da prima che se ne avesse coscienza. È inevitabile il racconto dei luoghi, o se così non fosse, trovo che sia una via di forte interesse per comprendere come si muove la comunità di un piccolo mondo come questo. E anche qui. Il pezzo non finisce con quello ma tanto mi pare sia dedicato allo spettacolo e all’opera di riferimento.
      Poi, se proprio vuole, io ho iniziato a scrivere otto anni fa. Sono stato anche molto prolifico. Quindi se lo desidera le mando tutti gli articoli passati così la sua ricerca potrà essere esaustiva.
      Mi faccia sapere arrivederci
      Simone Nebbia

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