La Storia del nostro paese è un corpo martoriato da ferite che non siamo stati in grado di far cicatrizzare, alcune bruciano ancora, basta mostrarle pubblicamente. Il teatro civile negli ultimi trent’anni ha funzionato come enzima per la coscienza collettiva, ha riattivato sinapsi addormentate e ricordi rimossi cercando di ricomporre puzzle a cui mancavano tasselli. La vicenda di Aldo Moro è uno dei tanti misteri del Dopoguerra italiano ed è ancora fresco il pensiero allo spettacolo, per molti dissacrante, di Daniele Timpano Aldomorto: in quel caso la memoria collettiva sublimava in quella personale dell’artista romano, ma nonostante il punto di vista sbilenco, come ha scritto Simone Nebbia, Timpano non poteva far a meno di «caricarsi tutta sulle spalle questa storia che “è qui davanti a voi. È rimasta così com’è”. Non resta che affondarci, o almeno rendersi conto di quanto, affondati, lo siamo già».
Le ultime battute di MORO: la tragedia di via Fani, in scena fino al 15 dicembre al Teatro Lo Spazio di Roma, Ulderico Pesce le urla a pochi passi dagli spettatori, sono un’accusa diretta al popolo italiano incapace di pretendere la verità e dunque colpevole di essere affondato, appunto, tra gli insabbiamenti che, uno dopo l’altro, hanno costruito una storia posticcia e incompleta. «Gli assassini di mio fratello stanno su Facebook. E non si sono mai pentiti. Italiani di merda non sapete che cazzo significa il dolore», questo urla Ulderico Pesce in faccia al pubblico prima di lasciare la sala con una valigia, di quelle umili, da migrante. La storia è quella di Ciro, fratello di Raffaele Iozzino, unico membro della scorta ad aver fatto in tempo a scoppiare un paio di colpi verso i “brigatisti” in via Fani, ma le grida dell’attore lucano non sono solo quelle di Ciro. Ulderico Pesce ha una modalità di rappresentazione che al primo sguardo potrebbe sembrare quasi figlia dell’impreparazione o della sciatteria – di tanto in tanto perde il filo o sbaglia qualche parola – ma che in realtà è profondamente connessa a sincerità e passione uniche. Quel grido pesa come un’accusa dolorosa per gli spettatori e la ricerca della verità per cui Ciro condiziona la propria vita è la stessa su cui Pesce ha sempre costruito i propri spettacoli con un impegno civile capace poi di debordare oltre il palcoscenico, basti ricordare le petizioni che accompagnavano spettacoli come Asso di monnezza, A come amianto, Il triangolo degli schiavi, per ricordarne solo alcuni.
Il cuore del lavoro, scritto con il giudice Ferdinando Imposimato, ruota attorno alle incongruenze del caso, ne ricordiamo qui alcune: l’affidamento al giudice istruttore in carica Imposimato solo nove giorni dopo l’assassinio, lo smantellamento dell’Ispettorato antiterrorismo diretto da Emilio Santillo che aveva ottenuto ottimi risultati e la sua sostituzione con l’Ucigos (un organismo speciale della Polizia di Stato, alle dipendenze del Ministero degli Interni presieduto da Francesco Cossiga), fino ad arrivare alle dichiarazioni shock di Steve Pieczenik che apertamente confessava di essere stato mandato dagli Stati Uniti per gestire la crisi sacrificando proprio il politico democristiano. Aldo Moro insomma doveva morire in quanto rappresentava la possibilità reale di una svolta italiana verso sinistra. Tesi che ormai, viste le numerose testimonianze e dubbi emersi, difficilmente può rimanere appannaggio solo dei cosiddetti “complottisti”.
Ma la ricerca della verità, l’abbiamo detto, è tintura di iodio sulle ferite, brucia perché svela l’inganno e l’incapacità di chi vi era in mezzo di ribellarsi: a metà spettacolo dalla platea si alza uno spettatore e, prima di andarsene, sbotta: «Stai dicendo un sacco di cazzate, vergognati». Dopo gli applausi l’autore e interprete si prende il tempo di far replicare lo spettatore rendendosi poi conto che questi era già andato via, ne nasce un piccolo dibattito col pubblico e un interessante racconto dei retroscena, come se il teatro, in fondo, fosse solo un pretesto per farci incontrare.
Andrea Pocosgnich
twitter @andreapox
in scena fino al 15 dicembre 2013
Teatro Lo Spazio
Roma
MORO: LA STRAGE DI VIA FANI
scritto da Ferdinando Imposimato e Ulderico Pesce
Interventi in video del giudice Ferdinando Imposimato
interpretato e diretto da Ulderico Pesce