Un circo, a tutti gli effetti. Ecco l’immagine che richiama immediatamente il tendone montato nel bel mezzo del Villaggio Olimpico, a pochi passi dall’Auditorium Parco della Musica di Roma. Sulla sommità campeggia, fiera e riccioluta, la scritta El Grito, nome della compagnia che cura questa edizione di Eccì, festival del circo contemporaneo che ormai è quasi un appuntamento fisso per la Fondazione Musica per Roma, alla guida dello spazio multifunzionale di Renzo Piano. Non un circo confinato nelle sale teatrali, come spesso accade con la sua versione contemporanea che ormai spopola in tutta Europa, nemmeno quello ibrido e dalle braccia allargate nelle piazze, come Gigi Cristoforetti lo ha immaginato per tanti eventi in Italia, non ultimo Apripista proprio all’Auditorium. Ma un circo riportato alla dimensione circolare dell’arena, il circo delle roulotte ferme nel parcheggio. Il circo circolare, appunto. Almeno da fuori. Ci capitiamo per vedere una performance ormai storica, di un gruppo altrettanto storico: Manoviva di Girovago e Rondella. Un vero e proprio “family theatre” nato nel 1987 in cui l’arte di strada viene passata di generazione in generazione, cresciuto nei decenni tra piazze e angoli di viale, attorno a una passione artigianale che ha fatto scuola: il teatro di figura. La specialità di questa coppia di artisti del nord Italia, ben noti nei contesti di figura e di strada di tutta Europa, è proprio il personaggio che qui è protagonista, Manoviva. Un elementare quanto efficace puppet realizzato applicando cappucci di lattice modellato a tutte e cinque le dita, a formare: due braccia, due gambe, una testa. Ne nasce il buffo e dinoccolato personaggio, qui in versione maschile e femminile, animati dai due fondatori e direttori della compagnia, alle prese con i numeri più popolari del circo e, perché no, con una riflessione – tutta fisica – su alcuni massimi sistemi del carattere e del vivere umano.
Su un palco in miniatura illuminato da due riflettori fissi e uno mosso a mo’ di occhio di bue da un fido collaboratore, al suono coinvolgente ed eccezionalmente vivo di una fisarmonica e di un basico set di percussioni e xilofono, si snoda la performance dei due irresistibili saltimbanchi “tascabili”, tra equilibrismo, acrobatica, giocoleria e funambulismo. Tutte le prodezze sono ovviamente rese possibili dal fatto che sono eseguite dalle mani, in controllo totale della gravità e del pericolo, esponendo di fatto la negazione dei principi su cui si fonda la tensione tra gli artisti del circo e il loro pubblico. Manoviva sale goffamente sulla pertica per lui altissima, si tuffa in un bicchier d’acqua, danza su un filo quasi volando, maneggia palle di fuoco. Semplicemente perché è in grado di farlo, contro ogni legge fisica. Azzerata l’incognita e la componente di rischio che tiene viva l’attenzione del pubblico, tutta la performance si gioca sulla tenerezza, sulla pura e semplice clownerie. Mai così efficace, quando mischiata al piacere irrazionale che si produce al cospetto dell’animazione degli oggetti. L’illusione ottica che sta alla base del teatro di figura, quel senso di meraviglia che – adulti o bambini non fa proprio nessuna differenza – ci fa credere in tutto e per tutto all’animazione magica di qualcosa che di per sé non si muoverebbe, ha il sopravvento e conferisce senso e ritmo all’intera impeccabile performance.
È un gioco elementare eppure estremamente sottile, che – seguendo la lezione di Obraztsov – usa il silenzio e la semplicità per affrontare e rendere leggibili temi di grande portata: attirata l’attenzione grazie a un’introduzione più comica e circense, i due personaggi possono trattare temi come la libertà o l’insensatezza della guerra. Allora Adamo ed Eva vengono spediti in un paradiso freak dove si svolazza al ritmo di musica reggae fumando erba, o due soldati (con maschere “da battaglia”) si scannano per impossessarsi di un misterioso scrigno: quando una mina li farà saltare in aria, dalla scatola uscirà solo una farfalla, unico essere in grado di far crescere un albero, facendo rinascere la vita.
Uscendo dal tendone, dove ero entrato con mia madre e senza nipotini, mi sono trovato a riflettere come rifletterebbero i vecchi nostalgici se un simile spettacolo, tutto semplicità poesia e artigianato, possa ancora toccare il cuore di una generazione bombardata da tutt’altra tecnologia. A giudicare dal folto gruppo di bambini, attenti ed entusiasti accanto a genitori non meno rapiti, forse sì. Di certo io sono fiero di dire che ancora riesco a credere al circo delle pulci.
Sergio Lo Gatto