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Muta Imago. Tweet-revolution?

foto  Ludovica Galeazzi
foto Ludovica Galeazzi

«Sono a casa, ma mi sento in trappola».
Ci sono articoli per cui un critico ha voglia, necessità, insopprimibile affanno di affermare testimonianza con la prima persona. E non un critico qualsiasi, ma uno che ha trent’anni in questo tempo, fianco agli artisti con cui condividere una generazione, le sue proiezioni ologrammatiche, inafferrabili, il tradimento in cui s’incaglia il verso, la rotta fra stasi e dinamismo. E allora si dice io, dirò io, per questo nuovo lavoro di Muta Imago dal titolo Pictures from Gihan, in scena al Teatro Quarticciolo nella periferia cittadina, per la prima volta coinvolto nel Romaeuropa Festival.
La frase in alto, dalla sera dello spettacolo non mi abbandona.
C’è dentro qualcosa di mio che non ho ancora detto, che non ho condiviso al mio vicino di un’aula scolastica quando eravamo piccoli, di una sala d’aspetto ora che siamo cresciuti. È forse il manifesto di una generazione che non ha manifesti, ma al massimo ha visto trasformarsi il richiamo alla partecipazione in richiamo alla dissipazione, dalle piazze alle discoteche, una civiltà che si è lasciata andare e ha avuto negli occhi il mutamento delle scritte sui muri dall’ingenuità comunicativa alla padronanza subliminale. A casa, ma in trappola. Questo scrive Gihan, giovane blogger egiziana che di fronte alle rivolte dell’inverno 2011 e la destituzione del presidente Mubarak (11 febbraio), di fronte oggi alle rivolte contro il presidente Morsi allora insediato, prende posizione, responsabilità, fa scivolare l’orma dell’individuo in una forma collettiva. Gihan pronuncia, dice, si batte. Lo fa con un tweet, un cinguettio, onomatopeico verso di un animale fragile che lancia lontano il suo grido di allarme, tramite la mobilità e l’aria, dallo stesso pericolante ramo di un albero.

Al centro di tutto questo spettacolo – nato dalle fondamenta di In Tahrir, presentato nel progetto “Wake up! – bagliori dalla primavera araba”, immaginato dal Teatro di Roma – quella rivolta egiziana che alcuni hanno chiamato rivoluzione, altri un assestamento di potere. Come un fiato caldo in un corpo freddo, il tentativo di rintracciare informazioni, vedersi in quell’azione, di due ragazzi a Roma o Bruxelles, in ogni caso nella culla della lontana, lontanissima civiltà occidentale. Riccardo Fazi e Claudia Sorace – fondatori della compagnia nel 2006 e di ritorno in scena insieme dopo (a+b)³, ma che firmano questo progetto con Chiara Caimmi – grazie alla rete internet hanno e cercano notizie di un accadimento che non gli appartiene e che si sforzano di trascinare nel proprio cono, nel proprio mondo. Gihan è laggiù, con lei anche un giornalista italiano, Giuseppe, che dispone per loro notizie dal fronte. È sincera la loro ricerca, eppure la comunicazione è difficile, non riesce, fallisce nell’atto stesso di cercare un contatto impossibile, in cui due universi paralleli come due rette non saranno in grado di incontrarsi. In questo spettacolo c’è il difetto di un impegno che non può manifestarsi se non discontinuo, spietato con la propria condizione di privilegio.

foto www.fitfestival.ch
foto www.fitfestival.ch

Una sala buia, due postazioni internet attraverso cui cercare contatto telefonico, telematico e due schermi per altrettanti luoghi di appartenenza. In relazione con il solo che interessi i due artisti, quello che a loro non appartiene. Dietro di loro, che iniziano con un microfono in mano, uno schermo intero con mappe geografiche da indagare attraverso una lente, luci infreddolite e una sonorità confusa, dosata nei volumi e nascente dai tumulti di piazza. Attorno, ad avvolgere le loro ombre scure nell’oscurità, a muoversi come un palloncino nero su fondo nero è la rivoluzione, nel cui tradimento è un equivoco semantico. Si tratta di un movimento terrestre che chiude al punto di partenza. Andrà lontano per giorni a compiere l’anno. Tornerà rinnovato, invecchiato un anno ancora, nel punto esatto dal quale era partito. Rivoluzione è nella storia degli uomini il sovvertimento di un ordine cristallizzato e astringente, ma non è la verità. Possiamo intenderla allora come stato permanente, come “tensione a” cambiare, modificare la cristallizzazione in frammenti di nuova coscienza. Ma fino a quando? «Dopo una rivoluzione arriva sempre un colpo di stato?», si chiedono i due ragazzi occidentali. Gihan non risponde, non può dare forma netta a ciò che riconosce unicamente in movimento. Tra stasi e dinamismo, nessuna soluzione.

Muta Imago. Mai come ora mi appare chiara la duplice suggestione che avvolge il loro nome di compagnia, di cui ignoro la vera origine. Quella locuzione latina ha in sé un sostantivo, “imago”, immagine che è “muta”, senza parole come la ninfa cui Giove tagliò la lingua, per punire il suo eccesso, ma in italiano vi è anche una distorsione che ci sposta sulla “mutazione”, trasformazione di sé e dunque del mondo (la “muta”, per intenderci, del serpente). E allora si riannodano certi fili dispersi. Li avevo lasciati alle rovine di Displace, uno spettacolo che dichiarava non senza arrabbiata gravità che nella ricostruzione sono già le rovine, che la memoria appartiene all’azione in forma già compiuta, anche se silente. Il fallimento e la sottrazione di Displace tornano qui, non senza spaesamenti compositivi ma certo non estetizzanti e senza affrancarsi dalla forma frammentata ormai tipica delle creazioni contemporanee, in una dichiarazione possibilmente ancora più concreta e indurita, che non riguarda il concetto ma la pratica, l’impossibile intervento di Riccardo e Claudia – che sono costretto in questo lavoro a chiamare solo per nome di battesimo – di fianco all’azione di Gihan, che non risponde ai loro richiami fino a questi ultimi giorni, le loro lettere, i messaggi in una bottiglia chiusa cui manca aria, già, esattamente quella di cui ha bisogno un tweet, un cinguettio, per uscire dai corpi esili e raggiungere il respiro del mondo.

Simone Nebbia

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PICTURES FROM GIHAN
Ideazione Chiara Caimmi, Riccardo Fazi, Claudia Sorace
Regia Claudia Sorace
Drammaturgia, suono Riccardo Fazi
Direzione tecnica Maria Elena Fusacchia
Elaborazione video Luca Brinchi, Maria Elena Fusacchia
Vestiti Fiamma Benvignati con Riccardo Fazi e Claudia Sorace
Organizzazione Manuela Macaluso
Consulente alla rumoristica Edmondo Gintili
Consulenza alla drammaturgia Giuseppe Acconcia
Un ringraziamento a Glen Blackhall per le domande che ci ha fatto, a Lukas Wildpanner per la consulenza audio e ai Tony Clifton Circus per i loro microfoni
Produzione Muta Imago
Coproduzione Romaeuropa Festival 2013, Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport
Residenze artistiche Kollatino Underground – Roma, The Orchard Project – New York, Teatro Biblioteca Quarticciolo – Roma, Teatro di Roma, Inteatro – Polverigi
Uno spettacolo nato all’interno del progetto Wake Up! del Teatro di Roma

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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