Si stagliano sul rosso dell’ancor chiuso sipario due coppie di corde, congiungendo proscenio e traliccio del Teatro Eliseo dove ha avuto luogo la prima romana del Sogno in una notte d’estate curata dal Teatro della Tosse in scena fino al 24 novembre. Questa iniziale immagine di sovrapposizione introduce già all’idea di adattamento di Emanuele Conte, che strizza l’occhio alla circolarità del palco elisabettiano riportando sulla scena una piccola arena che sarà terreno d’azione per buona parte dello spettacolo. Dal palco spoglio di quinte la massa informe lentamente acquista consistenza levandosi dalla rossa terra, non più stasi ma movimento, non più anonimia coperta da un cappuccio ma volti che si studiano e si chiamano per nome.
Del Sogno shakespeariano rimangono i personaggi principali e la trama che intreccia in un’unica notte le vicende di alcune coppie d’amanti – umani o fatati, nobili o cittadini, reali o immaginari mossi tutti da un desiderio impossibile o da un ardore non voluto – che in una girandola di fughe d’amore troveranno infine felice coronamento. In un agile snellimento del testo operato dallo stesso regista con Elisa D’Andrea viene rispettata l’alternanza di prosa e verso; non di rilettura dunque e nemmeno di reinterpretazione si tratta, quanto semmai di un riallestimento che, nella resa scenica e interpretativa, sceglie alcune delle tante possibili chiavi di lettura volte a una resa contemporanea della fiaba. Quell’atmosfera che alla fine del Cinquecento era ancora immaginario vivo e si costituiva come terreno fertile per un discorso critico, in tale chiave non trova ormai più un simile contatto diretto secondo la versione della Tosse, che sceglie quindi di aggiornarsi calibrando il tiro verso un possibile corrispondente attuale. A far da officianti a questo rito di passaggio verso l’età adulta sono Oberon e Titania, ma ancor di più Puck e Fiordipisello, che assumono qui connotati lugubri e dall’ambigua sessualità: borchie, catenacci e calze a rete di cui sono vestiti (i costumi sono di Bruno Cereseto) fanno da eco ai capelli cotonati, alle ceree facce dallo sguardo stralunato dei quattro giovani ateniesi. Coerentemente al quadro delineato da scene, costumi e ambientazione anche la cornice sonora, contorno e commento non sempre comprensibile, si compone di lunghe note di fiati, tocchi di campane a morto e melodie pop-rock (queste ultime ideate e cantate in inglese dall’interprete di Fiordipisello, Viviana Strambelli). Non è più un sogno nel bosco fatato ma nel mondo giocosamente dark à la Tim Burton, in cui la nuova atmosfera si giustifica forse nell’idea – espressa qui come in altri testi dal Bardo – che assimila il teatro a un popolo di ombre, piuttosto che nell’orizzonte di tradizioni a narrare il passaggio dalla sfera infantile a quella adulta, tema dell’opera a cui l’allestimento aspira in un risultato non sempre pienamente raggiunto.
Non c’è critica o morale nell’atteggiamento di nonchalance con il quale è affrontata la sessualità – altra tematica messa in risalto dalla compagnia genovese; in un rapporto ambiguo proprio perché non ancor ben definito, il desiderio verso l’altro, sia esso uomo o donna, è mosso da una curiosità infantile priva di malizia. A un’idea di semplice esplorazione si richiamano i contatti scambiati dai personaggi ancora incappucciati, mentre i baci tra i regnanti fatati e i propri folletti hanno sapore più bonario che erotico. Del resto, «nella notte in cui tutto può esser sovvertito» a un certo punto, in un gesto che risulta posticcio e poco motivato, l’innamorata non corrisposta Elena scambia i propri abiti con il ritroso Demetrio, salvo poi ritornare nei panni iniziali una volta realizzata la loro unione. Perché a tutti gli affanni, di tutti gli equivoci e di tutte le liti – tra i più riusciti momenti dello spettacolo nei quali il gruppo svolge un buon lavoro d’insieme, acquisendo quel ritmo vorticoso più debole nei momenti di assolo o di coppia – infine i personaggi troveranno il loro ordine e la terra su di loro potrà esser nuovamente posata.
Di un elemento volontariamente si è taciuto, ed è un peccato, perché la sua omissione ricorre durante tutta la messinscena: una gigantesca ragnatela di corde si stende sopra le teste dei personaggi fino a circondare l’arena e gli spalti ricoperti. Se questi ultimi trovano coerenza ed efficacia nell’idea e nelle azioni dei personaggi, sempre più compromessi alla terra che vorrebbe inglobarli, ciò non accade per quest’altro forte segno scenico; sebbene in linea teorica la sua presenza si carichi di una notevole varietà di interessanti spunti, durante la visione rimane soltanto oggetto ingombrante che all’inizio sorprende per la sua presenza, ma finisce presto per rimanere un orpello decorativo, lentamente dimenticato.
Viviana Raciti
in scena al Teatro Eliseo fino al 24 novembre 2013
SOGNO IN UNA NOTTE D’ESTATE
produzione Teatro della Tosse
testo di Emanuele Conte e Elisa D’Andrea
da William Shakespeare
regia Emanuele Conte
assistente alla regia Yuri D’Agostino
scene Emanuele Conte e Luigi Ferrando
costumi Bruno Cesereto
luci Tiziano Scali
canzoni Viviana Strambelli
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse
con Enrico Campanati, Linda Caridi, Bruno Cesereto, Sara Cianfriglia, Yuri D’Agostino, Piero Fabbri, Giulia Galiani, Mauro Lamantia, Marco Lubrano. Gianmaria Martini, Dario Sansalone, Viviana Strambelli