Una figura femminile – sguardo diretto e deciso – in procinto di compiere un’evoluzione che sa di potenza e leggerezza assieme, armonica gamba pronta a uno slancio o a un calcio; i ricci si dissolvono in frammenti che sembrano già pixel: questa la locandina della XXVIII edizione del Romaeuropa Festival_The Art Reacts, che fino alla fine di novembre accompagnerà il pubblico in una serpentina di teatro, musica, danza, arti visive e digitali, le cui forze maieutiche vivranno di felici commistioni – di generi, di modalità, di tematiche – innescate forse anche da quella “reazione” di cui si fa effigie il titolo.
Parecchi i protagonisti della scena internazionale, da Emanuel Gat – il cui lavoro ha appena fatto da apertura presso l’Auditorium Conciliazione – o Sasha Waltz – che ritorna al REF dopo il successo dell’anno scorso con un nuovo spettacolo, Continu, i prossimi 2 e 3 ottobre; giungendo ai riallestimenti di due spettacoli storici diretti da Jan Fabre, The Power of Theatrical Madness il 16 e il 17 ottobre e This Is Theatre Like it Was to Be Expected and Foreseen il 20 dello stesso mese, nei quali tra le trame di un discorso metalinguistico si farà spazio una ricerca estrema e personalissima, che ancor oggi reclama a gran voce la propria attualità. A fine ottobre sarà la volta di Thomas Ostermeier – che dal 24 al 27 presenterà, con la compagnia della Schaubühne di Berlino, un classico come Hedda Gabler di Ibsen, o della compagnia spagnola La Veronal, che sempre il 27 metterà in scena il suo lavoro dedicato alla città di Siena. Sarà poi il momento di Romeo Castellucci e di una delle ultime produzioni della Socìetas Raffaello Sanzio, The Four Seasons Restaurant, in una riflessione sull’artista e sul suo rapporto col mondo.
E parlando di italiani, diversi sono gli appuntamenti degni di nota: Antonio Latella dirigerà gli attori della Schauspielhaus viennese con il ritratto di un miliziano nazista in Die Wohlgesinnten, tratto dal celebre romanzo di Jonathan Littell, il 12 e il 13 ottobre, mentre Deflorian e Tagliarini metteranno a punto un nuovo tassello al loro progetto Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, dal 7 al 10 novembre. Seguiranno Muta Imago e Santasangre che, ciascuno a proprio modo, delineano sempre di più la propensione a uno spettacolo ibrido, la cui costruzione scenica si avvale di diverse drammaturgie, da quella sonora all’illuminotecnica, dall’indagine giornalistica al video (le vicende della rivolta egiziana in Pictures from Gihan di Muta Imago dal 13 al 17 novembre) fino alla compresenza di musica lirica acrobati e falconieri (in Harawi dei Santasangre, dal 21 al 23 novembre).
In linea con le precedenti edizioni, grande spazio viene lasciato alla danza che, tra formazione pratica (interessante il laboratorio con La Veronal), tra incontri teorici come il progetto iriDico, il progetto di videodanza o tutti quelli legati a DNA, tra work in progress e lezioni-spettacolo (come l’incontro tra Simona Bertozzi coreografa ed Enrico Pitozzi studioso in Pneuma, di cui vedremo il momento conclusivo con Orphans/ Chroma il 24 ottobre), si dispiegherà un fitto e interessantissimo programma di visione: Rachid Ourmdane, Alessandro Sciarroni e Dada Masilo sono solo alcuni appuntamenti. Rilevante anche l’offerta legata alla musica che, secondo le parole del direttore della Fondazione Romaeuropa Fabrizio Grifasi, «esprime il senso di apertura alla diversità delle estetiche, all’intreccio e alla pluralità dei linguaggi». Un attraversamento nei generi e nei periodi storici: dal rivisitato Tchaikovsky del Dada Masilo’s Swan Lake all’intervento dei Marlene Kuntz tra video arte e concerto con La poesia della scienza (17-18 ottobre), passando per Stockhausen, Berio, Noto.
Ritornando a quell’iniziale commistione tipica non solo di una visione artistica, che dall’arte concettuale fino al postmoderno ha sempre più giocato su quella fluidità di ruoli e generi, proprio del primo spettacolo presentato al festival vorremmo fare qualche accenno. Emmanuel Gat presenta un’opera dai molteplici strati costruita per sovrapposizioni non consequenziali che trova nel rapporto complesso articolato con la musica – e ancora più in generale con la sua struttura ritmica – l’oggetto più interessante della messinscena. Fin dal titolo, The Goldlandbergs, è possibile intravvederne la stratificazione: il riferimento è alle Variazioni Goldberg di Bach suonate in due diverse versioni dal pianista Glenn Gould, e a un suo radio-documentario su una comunità mennonita canadese, The Quiet in the Land, in cui oltre ai discorsi si intersecano rumori d’ambiente ed estratti musicali suoni extradiegetici, che fanno di quest’opera di montaggio pre-digitale già un prezioso momento di ricerca. Durante l’oramai consueto incontro col pubblico post spettacolo (Appena Fatto, il progetto in collaborazione con Rai Radio 3 che attraversa tutto il festival per un confronto con l’artista “ancora a caldo”) Gat racconta della separata gestazione iniziale dei due interventi sonori, che solo successivamente vennero accorpati in quanto caratterizzati dalla stessa struttura ritmica, una trama in grado di accordarsi con le due differenti partiture coreutiche.
Il risultato finale vede otto danzatori agire sulla scena vuota in biancheria intima (scelti più per la loro essenzialità che per la loro caratterizzazione), danzando indifferentemente sulle note di Bach o sulle parole dei fedeli, in ritmo costante, in cui il movimento è quasi fissato per istantanee, ogni posizione raggiunta ricerca sempre qualche secondo di fermo prima di poter proseguire per la successiva evoluzione. Alle due partiture (sonora e coreutica) se ne aggiunge una terza, quella della luce, che vive di un’indipendenza dalle azioni degna di nota. Le sensibili variazioni di colore, di porzioni di luce che scivolano lentamente verso corridoi bui mostrano il dispiegarsi di un discorso proprio che, anziché ostacolare la visione, finisce per arricchirla in maniera niente affatto banale. La fluidità di questo multiforme movimento (e il suo utilizzo in ambito musicale non è casuale) mai interrompe la sua morbidezza, che anche nelle corse o nel suo roteare rivela una tranquillità che verrebbe da dire contemplativa. Ci si può permettere di osservare i propri compagni, di riprendere alcuni gesti, di riunirsi in piccoli gruppi. Soprattutto quest’ultima possibilità crea un’ulteriore concatenazione con il discorso sonoro: non di rado ci si sorprende a osservare come ai gruppi corrispondano gruppetti di note, come al variare delle diverse altezze di suono si mettano in moto parti diverse del corpo, quasi a «spazializzare un suono o a musicalizzare un’immagine», per dirla con le parole del coreografo. Il piacere intellettuale che scaturisce si racchiude, tuttavia, in questo riconoscimento, e sembra quasi che l’intera operazione pur nella sua profondità rimanga quasi offuscata, e che la pulizia formale corrispondente a quella – apparente – semplicità melodica, manchi di una forza comunicativa capace di squarciare lo sguardo, rimanendo un po’ tra le righe.
Viviana Raciti
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THE GOLDLANDBERGS
Coreografia Emanuel Gat
creata in collaborazione con ed eseguita da Hervé Chaussard, Aurore Di Bianco, Michael Löhr, Pansun Kim, Philippe Mesia, Geneviève Osborne, François Przybylski, Milena Twiehaus
Sottofondo sonoro “The Quiet in The Land”
Scritto e realizzato da Glenn Gould
Musiche Johann Sebastian Bach, Goldberg variations
Piano Glenn Gould
Scene e disegno luci creato in collaborazione con Samson Millcent
Produzione Emanuel Gat Dance
Coproduzione Festival Montpellier Danse 2013, Théâtre de la Ville – Paris, deSingel – International Art Campus – Anvers, Lincoln Center Festival 2014 – New York, CCN Roubaix Nord-Pas de Calais Carolyn Carlson
Con il supporto di Conseil Général des Bouches du Rhône