Vicino a grigie impalcature di un edificio in costruzione, si scorge un viottolo buio illuminato dalla sola luce di cartocci di carta che per una sera, alquanto speciale, si vestono a fiaccola. Nel percorrerlo, voci giungono più vicine e chiare: c’è gente, tanta gente alla fine di questa piccola stradina della periferia est di Roma, che come una parentesi si apre con discrezione tra due palazzoni che sembrano volerla stringere, chiudere. In attesa, su una sorta di balcone, ci sono amici, colleghi, spettatori e curiosi, chi sorseggia del vino, chi beve una birra…
In un’atmosfera amichevole e comunitaria si celebra una nascita, quella del Bi.Pop Teatro popolare Zaccaria Verucci, frutto del progetto collettivo che unisce lo spazio sociale Zona Rischio (con l’importante lavoro di Emma Albarello e Diego Zerbini) al gruppo teatrale InternoEnki. A Casal Bertone, dove la gente non ha a disposizione un teatro «siamo arrivati noi da loro a ricordare, porta a porta, che c’è il teatro, venite!!!». Questo mi racconta Terry Paternoster, fondatrice di InternoEnki, in un ritaglio di tempo mentre si sta truccando prima di andare in scena. Nella sua voce si avverte il segno di una piccola influenza ma è colma di energia ed emozione: parla della loro sfida, di un «amore per la rivolta come atto poetico e politico» che prende corpo attraverso il linguaggio teatrale. Mi fa notare la sala, che è poi lo stesso spazio adibito per le prove, ora file di sedie la riempiono a formare la platea, in fondo un piccolo rialzo sarà il palcoscenico per il primo spettacolo.
Mentre, stretta nel piccolo angolo tra la platea e la cucina, sono in attesa e intenta a osservare i numerosi libri sulle mensole di questa che è anche una biblioteca, sfilano intorno a me piatti caldi: pennette, cous cous, involtini, preparati con cura dalla cuoca Emma prima che lo spettacolo abbia inizio.
Quando ormai tutto è pronto, dal bancone ci invitano a prendere posto, il nostro posto, perché per questa volta, tutti abbiamo una “poltrona” a noi riservata, tutti cerchiamo il nostro nome sulla sedia che è lì, in tutta la sua poetica semplicità, scritto su un pezzo di scotch.
Sul palco una bicicletta legata da tiranti attaccati ai quattro angoli della scena ci anticipa Tra tetti e il cielo, un omaggio al partigiano Zaccaria Verucci di e con Mauro F. Cardinali, accompagnato alla fisarmonica Alessandro Severa. Su questa bicicletta, in volo a mezz’aria, muovendo su di noi uno sguardo sognante e commosso, Zaccaria ci racconta della sua vita di militante, fatta di stenti, di sacrificio e di lotta. Questa «officina sociale» autogestita porta il nome dell’amico Zac, «un simbolo popolare per un teatro popolare», metafora del fare teatro oggi, nell’orizzonte della limitante precarietà, certo, ma non della sconfitta o della resa.
Il secondo lavoro presentato nella serata è introdotto da un coro di schiamazzi, grida, richiami, canzoni… In bilico nervoso tra la gioia e il dolore, i ragazzi di InternoEnki con M.E.D.E.A BIG OIL fanno il loro ingresso disordinato e confusionario, ma incredibilmente umano, carnale e potente. Vincitori del Premio Scenario per Ustica 2013, questo gruppo di amici ha rielaborato in chiave moderna e regionale il mito di Medea per “scetarci” da un sonno ipocrita e indifferente, nel quale «è tutt’appost» è la cantilena ricorrente che tutto fa tacere e non venire a galla, a differenza del petrolio che ribolle sotto i piedi, scalzi e orfani di una scarpa. Facce, smorfie, sputi e mani sporche di pomodoro, sono irriverenti maschere di una tragedia moderna, vicina, nostra, che coinvolge, ammalia, incanta e commuove.
Al termine dei due spettacoli sale sul palco Diego, salutando ci invita a tornare a seguire quella che lui fa fatica a chiamare stagione teatrale, preferendo come locuzione «un appuntamento al mese», nel quale gli artisti sono coinvolti in una nuova politica di contratto. L’ormai consueto accordo del cosidetto 70/30 (che assegna alla sala il 30% degli incassi) cede il passo a una scelta davvero a budget 0, l’incasso di ogni serata spetterà per intero alla compagnia o all’attore. Una decisa inversione di tendenza, consapevole tuttavia del forte azzardo, che potrebbe non far arrivare alla prossima stagione. Non a caso, come ribadisce Diego scherzando e ringraziando gli artisti che hanno deciso di prendere parte attiva a questa scommessa, sono le compagnie «che se la rischiano alla grande».
Dopo gli applausi, le battute e le risate, ci accingiamo ad uscire, vicini, stretti, in coda dato lo spazio esiguo, e nella mai fastidiosa calca mi capita di scorgere delle cornici poggiate sul bancone: raccontano di amicizia e familiarità, piccoli e rubati momenti nei quali anche noi, di passaggio e di sfuggita, veniamo coinvolti. Nel salutare coloro che ci hanno aperto le porte di questa grande “casa” mi accorgo di chi, non smettendo mai di crederci, si sorprende con sentita emozione di aver raggiunto in questa serata un piccolo, iniziale e rivoluzionario traguardo.
Lucia Medri