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Stagione 2013 – 2014 Teatro Storchi di Modena

STAGIONE 2013/2014
TEATRO STORCHI DI MODENA
EMILIA ROMAGNA TEATRO

13-17 novembre 2013
VIVA L’ITALIA
LE MORTI DI FAUSTO E IAIO
di Roberto Scarpetti
regia César Brie
musiche originali Pietro Traldi
con Massimiliano Donato, Andrea Bettaglio, Alice Redini, Umberto Terruso, Federico Manfredi
Lo spettacolo previsto nel cartellone del Teatro Storchi, andrà in scena presso il Teatro delle Passioni di Modena.

Torna a Modena César Brie con un testo inedito di un nuovo autore che ci racconta un fatto di cronaca del passato, uno degli episodi più oscuri ed emblematici della storia del nostro paese. Perché il teatro sia sempre un’esperienza necessaria e al centro della scena ci sia sempre l’essere umano.
La storia raccontata da Viva l’Italia è quella delle morti di Fausto e Iaio, due diciottenni milanesi frequentatori del centro sociale Leoncavallo, uccisi a colpi di pistola la sera del 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro da parte delle BR. «Rispetto agli spettacoli definiti di teatro civile – spiega l’autore – in Viva l’Italia non c’è un narratore onnisciente che conduce gli spettatori nei segreti e nei retroscena di un fatto storico: in questo caso la Storia è narrata in prima persona dai personaggi che l’hanno vissuta. Una drammaturgia storica, pensata in forma di monologo, anzi di cinque monologhi intrecciati tra loro a ricostruire un quadro d’insieme».
L’ambizione è quella di far rivivere al pubblico il passato come fosse presente, con tutte le emozioni, i sentimenti, la disperazione di persone reali, persone che sono state coinvolte in qualcosa più grande di loro, mentre la vita di tutti i giorni andava avanti, come se non fosse successo niente.

28 novembre – 1 dicembre 2013
VERDI, NARRAR CANTANDO
di Marco Paolini e Mario Brunello
collaborazione alla drammaturgia e ai testi Gerardo Guccini
con Mario Brunello e Marco Paolini
e con Francesca Breschi e Stefano Nanni
regia Marco Paolini, César Brie

Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Le Roncole, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901) saranno molti gli omaggi all’opera di colui che è stato uno dei più celebri autori di tutti i tempi, autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo.
“Verdi non è solo un musicista, è un uomo di teatro che pensa ad un disegno generale e poi ne cura ogni dettaglio per arrivare a un effetto mirato” afferma Marco Paolini che continua “la storia viene narrata dalle parole e dalla musica, ma niente di superfluo deve essere lasciato, per il solo gusto del bello o per l’esibizione della tecnica. Verdi dunque pensa a uno spettacolo globale ed essenziale; il risultato è straordinario perché egli inventa qualcosa che sembra molto più antico di lui. Le sue opere diventano tradizione da subito (non tutte ovviamente…), la gente lo canta anche se non è andata a teatro, la sua popolarità è pari a quella di Garibaldi”.

5 dicembre 2013
FERITE A MORTE
di Serena Dandini
con Lella Costa, Giorgia Cardaci, Orsetta De Rossi, Rita Pelusio
messinscena Serena Dandini

Ferite a morte nasce dal desiderio di raccontare le vittime di femminicidio. Ho letto decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: «E se le vittime potessero parlare?» Volevo che fossero libere, almeno da morte, di raccontare la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi. Desideravo farle rinascere con la libertà della scrittura e trasformarle da corpi da vivisezionare in donne vere, con sentimenti e risentimenti, ma anche, se è possibile, con l’ironia, l’ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali. Donne ancora piene di vita, insomma. Ferite a morte vuole dare voce a chi da viva ha parlato poco o è stata poco ascoltata, con la speranza di infondere coraggio a chi può ancora fare in tempo a salvarsi.

12-18 dicembre 2013
IL SERVITORE DI DUE PADRONI
da Carlo Goldoni
drammaturgia Ken Ponzio
regia Antonio Latella
con (in o. a.) Marco Cacciola, Giovanni Franzoni, Federica Fracassi, Roberto Latini, Annibale Pavone, Lucia Perasa Rios, Massimiliano Speziani, Rosario Tedesco, Elisabetta Valgoi

Latella riparte “da” Goldoni, “da” come lui stesso spiega, perché questo Servitore è una totale riscrittura che vuole prendere forza dalla nostra tradizione per lanciarsi in avanti, nel tempo che deve venire. Parlare con la forza della tradizione all’uomo contemporaneo per Latella oggi è un dovere, più che una necessità: “Goldoni è il nostro teatro scritto, la nostra origine… Arlecchino è il nostro Amleto, non si può non incontrarlo nel proprio cammino teatrale, almeno per me.”
Nelle sue note di regia Latella scrive: “La menzogna è il tema che appartiene totalmente a questa commedia. Dietro la figura di Arlecchino (Truffaldino) la commedia si nasconde a se stessa, mente. Dietro agli inganni, ai salti, alle capriole del servitore più famoso del mondo la commedia mente agli spettatori: il personaggio che tanto li fa ridere è insieme tutte le menzogne e i colori degli altri personaggi. È uno specchietto per le allodole e sposta il punto di ascolto dell’intera commedia. Non c’è una figura onesta, tutto è falso, è baratto, commercializzazione di anime e sentimenti (…) Cosa resta? Il vuoto, graffiato dal sorriso beffardo delle maschere. (…) Il vuoto, forse l’orrore della nostra contemporaneità. L’orrore dell’uomo che davanti al peso del denaro perde peso (…)”

9-12 gennaio 2014
IL DON GIOVANNI
VIVERE È UN ABUSO, MAI UN DIRITTO
regia e scene Filippo Timi
di e con Filippo Timi
e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Roberta Rovelli, Marina Rocco, Elena Lietti, Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli

Né secondo Molière né secondo Mozart quindi, semplicemente secondo Filippo Timi: il mito di Don Giovanni riscritto dal più irriverente dei giovani artisti italiani. Rivisitando il mito del Burlador de Sevilla sulla falsariga del libretto di Da Ponte, Timi si spinge oltre il divieto del filosofo-matematico Friedrich von Hardenberg, in arte Novalis, che sul finire del Settecento dichiarava che “l’infinito e la donna sono incomprensibili perché nessuno dei due può venire elevato al quadrato”. Con spezzature, metafore, allusioni e ironie il gioco di Timi mira a fare esplodere una tradizione che va dalla leggenda di Orfeo sbranato dalle femmine invasate, fino alla sprezzante definizione che il darwiniano Richard Dawkins ha dato di Dio (un “meme” particolarmente invasivo: quasi un virus della psiche), passando per l’arte della fuga, non solo scenica ma anche musicale (pensiamo a Bach), per la dissoluzione delle istituzioni, per la forza anarchica della passione che alla fine distrugge se stessa. L’esito paradossale è una sorta di religione della mente, “con un Dio così umano da far tenerezza… che non cerca il bene, che non combatte il male e finalmente si arrende alla bellezza della vita”. È la religione impossibile sognata da Nietzsche, che si realizza nella magia della scena.

23-26 gennaio 2014
NON SI SA COME
di Luigi Pirandello
regia Federico Tiezzi
con (in o. a.) Marco Brinzi, Francesco Colella, Elena Ghiaurov, Pia Lanciotti, Sandro Lombardi
drammaturgia Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi

Scritta a Castiglioncello nell’estate del 1934, Non si sa come è una commedia drammatica in tre atti di Luigi Pirandello ispirata ad altre tre novelle scritte dallo stesso nell’ultimo ventennio: Nel gorgo, La realtà del sogno, Cinci.
La messa in scena si apre su un quadretto di genere idillico, quasi stucchevole: una mattina sul finire di settembre, sull’incantevole terrazzo della casa di Giorgio Vanzi, i protagonisti, che appartengono evidentemente a una borghesia agiata, conducono una vita disinvolta tra tavolini-bar e mobili da giardino. Di Giorgio Vanzi sappiamo solo che è un militare di Marina, si presume ufficiale, mentre Nicola Respi frequenta il Circolo della Racchetta, luogo che indulge al pettegolezzo. È proprio nella cornice di annoiati salotti borghesi che si svolge una storia che di annoiato e convenzionale non ha nulla. Al centro del dramma vi è il rovello di Romeo Daddi il quale, dopo aver ceduto un momento alla passione per Ginevra, moglie dell’amico Giorgio, si rende conto di quanto sia facile commettere un atto che forse può rivelarsi una colpa, senza averne responsabilità, perché il fatto è accaduto non si sa come, fuori della coscienza di chi lo ha compiuto.

6-9 febbraio 2014
LE VOCI DI DENTRO [RECENSIONE] di Eduardo De Filippo
regia Toni Servillo
con Chiara Baffi, Betti Pedrazzi, Marcello Romolo, Peppe Servillo, Toni Servillo, Gigio Morra, Lucia Mandarini, Vincenzo Nemolato, Marianna Robustelli, Antonello Cossia, Daghi Rondanini, Rocco Giordano, Maria Angela Robustelli, Francesco Paglino

“Eduardo De Filippo è il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare, dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare. Le voci di dentro è la commedia dove Eduardo, pur mantenendo un’atmosfera sospesa fra realtà e illusione, rimesta con più decisione e approfondimento nella cattiva coscienza dei suoi personaggi, e quindi dello stesso pubblico. L’assassinio di un amico, sognato dal protagonista Alberto Saporito, che poi lo crede realmente commesso dalla famiglia dei suoi vicini di casa, mette in moto oscuri meccanismi di sospetti e delazioni. Si arriva ad una vera e propria ‘atomizzazione della coscienza sporca’, di cui Alberto Saporito si sente testimone al tempo stesso tragicamente complice, nell’impossibilità di far nulla per redimersi. Eduardo scrive questa commedia sulle macerie della seconda guerra mondiale, ritraendo con acutezza una caduta di valori che avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire. E ancora oggi sembra che Alberto Saporito, personaggio-uomo, scenda dal palcoscenico per avvicinarsi allo spettatore dicendogli che la vicenda che si sta narrando lo riguarda, perché siamo tutti vittime, travolte dall’indifferenza, di un altro dopoguerra morale.”

20-23 febbraio 2014
LA CANTATRICE CALVA
di Eugène Ionesco
regia Massimo Castri
con Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Sara Zanobbio
con la collaborazione alla regia di Marco Plini

Scritta esattamente a metà del secolo scorso, nel 1950, La cantatrice calva racchiude in sé le istanze di un movimento teatrale che abbandona il polveroso accademismo del teatro borghese protrattosi fino a quel momento; si tratta di un teatro che delle parole mantiene soltanto il guscio e dei contenuti la semplice forma esterna, permettendo allo spettatore di interrogarsi, persino con animo inquisitorio, sul loro significato e, di conseguenza, sul valore stesso della comunicazione. Una lingua dunque smontata nelle sue forme più primitive e successivamente ricomposta, risciacquata da qualsiasi stereotipo sociale. C’è forse qualcosa di più convenzionale del linguaggio? I protagonisti sono due anonime coppie inglesi – gli Smith e i Martin – rappresentati come gli archetipi della borghesia; parlano in un tipico salotto borghese, ma non comunicano, limitandosi a uno scambio di frasi banali e convenzionali, non pensano perché hanno perso la capacità di pensare, non esprimono emozioni e passioni, né le comunicano agli spettatori. Sono prigionieri del conformismo, simili ad automi viventi, senza alcuna sostanza psicologica. Il risultato è una situazione paradossale, comico-grottesca in cui i protagonisti dialogano sul nulla.

1-2 marzo 2014
PANTANI
di Marco Martinelli
Teatro delle Albe
ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Francesco Mormino, Laura Redaelli

Pantani è uno spettacolo che ti aggredisce, ti indigna, tenta di spiegare un mondo eccessivamente appassionato, schiavo dei media e feticista nei confronti dei suoi miti: miti che è in grado di elevare e distruggere un secondo dopo, senza pietà, nella delusione più totale. Lo spettacolo del regista emiliano non è che un’indagine sulle responsabilità accorse alla tragica morte di un uomo. L’eroe, Marco Pantani da Cesenatico, ciclista, maglia rosa al Giro e maglia gialla al Tour, – l’ultimo ciclista italiano ad aver vinto entrambe le gare era stato Felice Gimondi nel 1965 – ,accusato di doping e morto di disperazione in un grigio febbraio riminese, non appare mai in scena, ad indicare, forse, l’astensione di giudizio rispetto alla storia, alla propria storia. La prima parte dello spettacolo ricostruisce l’ascesa, difficile, di Marco; la seconda la caduta, con l’esclusione dal Giro, praticamente vinto, del 1999, come un criminale, per ematocrito alto e accusa, poi caduta, dopo processi farseschi con medici molièriani, di uso di sostanze dopanti (Epo). Rievoca i successivi tentativi di riprendere quota e gli ulteriori precipizi, fino alla cocaina, fino alle nebbie, al ghiaccio dell’anima di quella fine piena di ombre, a Rimini, nel 2004.
Il testo costruisce attorno a questo anelito di giustizia un affresco sull’Italia degli ultimi trent’anni, l’enigma di una società malata di delirio televisivo e mediatico, affannata a creare dal nulla e distruggere quotidianamente i suoi divi di plastica, ma anche capace di mettere alla gogna i suoi eroi di carne, veri, come Marco Pantani da Cesenatico, lo scalatore che veniva dal mare. Il teatro sembra ritrovare, in questo spettacolo del Teatro delle Albe, le sue capacità di fascinazione affabulatoria e di discussione alta di problemi della società, una funzione immaginativa e una “politica”, di interrogazione sui conflitti, sui delitti e soprattutto sul rimosso della vita associata.

13-16 marzo 2014
I PILASTRI DELLA SOCIETÀ [RECENSIONE] di Henrik Ibsen
traduzione Franco Perrelli
regia Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia, Alessandro Baldinotti, Michele De Maria, Federica Di Martino, Viola Graziosi, Giovanna Guida, Andrea Macaluso, Mauro Mandolini, Graziano Piazza, Mario Pietramala, Clelia Piscitello, Giorgia Salari, Carlo Sciaccaluga

Scenicamente perfetto, il dramma ibseniano del 1877, diventò subito un pezzo di teatro molto rappresentato in Europa alla fine del secolo scorso. Ibsen critica duramente il conservatorismo politico, i cui rappresentanti prima lo avevano considerato un loro sostenitore. Abbandonando le saghe nazionali, preziosa fonte d’ispirazione per i primi celebri testi drammaturgici, a partire dagli anni settanta del XIX secolo, il drammaturgo norvegese comporrà soltanto drammi contemporanei, e ciò per ritrarre da presso le tare congenite della società borghese. Il dramma si svolge in un ambiente della piccola borghesia reazionaria, al cui centro c’è il console Bernick, “pilastro morale della società”, che vive in realtà da oltre quindici anni una vita di inganni: ha infatti sedotto e abbandonato una giovane che per il dolore ne è morta, e ne ha lasciato ricadere la colpa sul fratello minore di sua moglie Betty, Giovanni Tonnesen, emigrato subito dopo in America con la sorellastra Lona. Nella piccola e operosa città dove vive, Bernick è considerato un uomo rispettabile e potente. Improvvisamente Giovanni e Lona fanno ritorno a casa e le accuse di Bernick si rivelano false, mettendolo di fronte alla necessità di confessare gli errori commessi tanti anni prima. Spinto da Lona, che è forse l’unica donna che lo abbia amato, fa pubblica ammenda e riscatta così la lunga parentesi in cui è vissuto. I pilastri della società è stato giudicato il primo dramma di Ibsen che mette in rilievo i problemi dell’individuo di fronte alle esigenze della società ma che, al contrario di alcune altre opere teatrali dello scrittore norvegese, conserva una straordinaria freschezza nel linguaggio e nella composizione.

18-30 marzo 2014
LA METAMORFOSI
dal racconto di Franz Kafka
regia e drammaturgia Luca Micheletti
con (in o. a.) Dario Cantarelli, Laura Curino, Luca Micheletti, Claudia Scaravonati
Lo spettacolo previsto nel cartellone del Teatro Storchi, andrà in scena presso il Teatro delle Passioni di Modena.

La letteratura di Kafka è capace come poche altre di tradurre il disagio dell’uomo contemporaneo in mirabili e struggenti parabole sulla compromissione della sanità, sulla subordinazione dell’esistenza alla sussistenza, sulla trasformazione grottesca dell’essere umano in una cosa “alienata”, dotata di un’anima che egli stesso stenta tragicamente a riconoscere e a nutrire.
Il caso di Gregor Samsa, che si tramuta senza spiegazioni in un insetto, si fa metafora del cambiamento inesorabile cui l’uomo è costretto quando relegato ai margini dell’umano: lo spettacolo vorrebbe porsi ad emblematico raccordo tra la necessità di raccontare il disagio e il desiderio di denunciarlo; si nasconde, infatti, al fondo del pessimismo più grottesco e nichilista, il bisogno: la richiesta dell’aiuto.
La sofferenza fisica e l’apparente differenza o “distanza”, non solo dalla “norma” ma addirittura dall’“umanità”, possono essere osservate come occasioni di soccorso. Gregor che si trasforma in un insetto incarna la metafora d’un bisogno esiziale, quello della diversità esclusa che cerca un contatto, quello dell’umanità che non viene riconosciuta per tale di denunciarsi e tornare a vivere.
La metamorfosi può offrirsi come ricco e agile strumento per raccontare un’esperienza di “disabilità”, tanto parossistica da essere metaforica, tanto abnorme da essere universale.

20-21 marzo 2014
QUARTETT / LE RELAZIONI PERICOLOSE
di Heiner Müller
da Le relazioni pericolose di Pierre Choderlos de Laclos
con Laura Marinoni, Valter Malosti
regia Valter Malosti

“Quartett (1982) di Heiner Müller (1929-95), artista ribelle e contraddittorio vissuto, per scelta, nella Germania orientale, e probabilmente il maggiore drammaturgo di lingua tedesca del Novecento insieme a Bertolt Brecht, prende ispirazione dal conturbante romanzo epistolare di Choderlos de Laclos Le relazioni pericolose, scritto esattamente due secoli prima (1782), e tornato in auge grazie a due recenti e fortunate trasposizioni cinematografiche di Miloš Forman (la sceneggiatura era di Cristopher Hampton), e di Stephen Frears (da ricordare anche il film del 1959 di Roger Vadim con Gérard Philippe e Jeanne Moreau).
Il romanzo narra le avventure di due nobili e crudeli libertini, il visconte Valmont e la marchesa di Merteuil, ed è considerato uno dei capolavori della letteratura francese, anche se Heiner Müller precisa – non sappiamo quanto snobisticamente – che non ha mai letto il romanzo dall’inizio alla fine. La sua fonte primaria, afferma, è stata la prefazione di Heinrich Mann alla propria traduzione del testo di Laclos in lingua tedesca.
La versione di Müller è sicuramente più brutale, atrocemente spudorata e piena di humor nero, scritta in prosa ma con una lingua dall’andamento fortemente poetico e di magmatica fisicità.

27-30 marzo 2014
OPERETTE MORALI [RECENSIONE] di Giacomo Leopardi
con (in o. a.) Renato Carpentieri, Roberto De Francesco, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Giovanni Ludeno, Paolo Musio, Barbara Valmorin
adattamento e regia Mario Martone
scene Mimmo Paladino

Le Operette morali sono una raccolta di ventiquattro componimenti in prosa, dialoghi e novelle, che Giacomo Leopardi scrive tra il 1824 e il 1832.
In essi troviamo l’anima più profonda dell’autore: il rapporto dell’uomo con la storia, con i suoi simili e in particolare con la Natura; il raffronto tra i valori del passato e la situazione statica e decaduta del presente; la potenza delle illusioni e della gloria. I temi affrontati sono fondamentali, primari: la ricerca della felicità e il peso dell’infelicità, la natura matrigna, la vita che è dolore, noia. In questo panorama di atmosfere astratte e glaciali la ragione si distingue come unico strumento per sfuggire alla disperazione.
Le Operette rappresentano una perfetta orchestrazione di toni sulla vita e sulla morte: nella visione leopardiana, l’uomo si muove all’interno di una natura cieca, dalla quale non può ottenere nulla. Sprezzante verso l’idea di progresso, scientifico e spirituale, il poeta irride le conquiste dell’umanità come pure finzioni, chimere di un progresso senza costrutto. Cosa rimane dunque all’uomo?

1-6 aprile 2014
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo
regia e adattamento Fausto Russo Alesi
Lo spettacolo previsto nel cartellone del Teatro Storchi, andrà in scena presso il Teatro delle Passioni di Modena.

È con gioia, paura, emozionata curiosità ed una buona dose di follia, che mi avventuro alla scoperta del teatro di Eduardo De Filippo.
È da molto tempo che coltivo il desiderio di accostarmi a questo grande attore-autore-regista e al suo patrimonio drammaturgico e Natale in casa Cupiello, in questa versione solitaria, mi è sembrato un modo possibile, una chiave d’accesso per incontrare la sua arte e il suo linguaggio. È difficile definire Natale in casa Cupiello, perché è un testo semplice e complesso allo stesso tempo. Semplice perché popolare, familiare e complesso perché umano, realistico sì, ma soprattutto metaforico. Quando leggo Natale in casa Cupiello, ho la sensazione di trovarmi davanti ad un meraviglioso spartito musicale, un vibrante veicolo di comunicazione, profondità e poesia.
È incredibile, a soli 31 anni Eduardo recitava la parte del vecchio padre di famiglia, antieroe-bambino, Luca Cupiello, personaggio che avrebbe interpretato credo quasi fino agli ottant’anni. È come se con questo personaggio lui ci avesse raccontato una parabola sulla vita. Questa è oltre tutto un’opera di scambio tra generazioni a confronto. E fu Eduardo stesso che arrivò a affermare che il punto di arrivo dell’uomo è la nascita, mentre il punto di partenza dal mondo e punto di partenza per le nuove generazioni è la morte.

4 aprile 2014
OPEN DAY
di Walter Fontana
regia Ruggero Cara
con Angela Finocchiaro, Michele Di Mauro

Separati da tempo, mediamente tirati dalla vita, entrambi sui cinquanta: una madre e un padre si ritrovano faccia a faccia in un giorno importante: iscrivere la figlia quattordicenne alla scuola media superiore.
Sembra facile, ma non lo è. Un semplice modulo da compilare diventa per i due ex-coniugi un interrogatorio insidioso, che li spinge a ripercorrere la loro vita, in un crescendo di sottile follia. Tra i litigi interrotti da anni, discorsi intorno a una figlia che non si vede mai, ma è al centro di tutto, licei chic con presidi analfabeti e incursioni mentali nella Grecia del IV secolo a.C., si intrecciano tensioni, speranze e qualche sorpresa: perché il passato non è sempre come te lo ricordi e il futuro non è mai come te lo immagini.

10-13 aprile 2014
LA DISCESA DI ORFEO
di Tennessee Williams
traduzione Gerardo Guerrieri
drammaturgia e regia Elio De Capitani
con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Edoardo Ribatto,Luca Toracca, Cristian Giammarini, Corinna Agustoni, Sara Borsarelli, Elio De Capitani, Debora Zuin, Marco Bonadei, Carolina Cametti e Alessandra Novaga (chitarra elettrica)

Opera inedita in Italia, La discesa di Orfeo è stata riletta dal Teatro dell’Elfo con gli occhi e con i corpi di chi ha assorbito dentro di sé il teatro e il cinema di Fassbinder, il suo melò sociale, sospeso tra realismo e aperture oniriche: unici attori e una chitarrista, totalmente coinvolti nel restituire a Williams e ai suoi personaggi la tragica tenerezza e il furore esistenziale che li consuma.
Il testo racconta l’incontro di tre fragili sognatori «che lasciano pelli dietro di sé, pelli pulite e denti e ossa bianche; sono segni che si trasmettono tra loro perché la razza di quelli sempre in fuga possa seguire le orme dei suoi simili». Val è un vagabondo con chitarra e giacca di pelle di serpente, Lady è figlia d’un emigrante italiano linciato dai razzisti, prigioniera di un matrimonio crudele con Jabe che la considera sua “proprietà”, mentre Carol Cutrere è una giovane milionaria, fragile ma ribelle, che offre a Val un’ultima occasione di fuga.
Val si innamora di Lady e sceglie di rompere con il suo passato di uomo di strada per vivere e lavorare accanto a lei. Ma, come un moderno Orfeo che tenta di salvare la sua Euridice, finisce fatto a pezzi dai fanatici del paese, che non tollerano lo “scandalo” della loro passione e il loro sogno di una vita felice.

22-27 aprile 2014
CLÔTURE DE L’AMOUR [RECENSIONE] uno spettacolo di Pascal Rambert
traduzione Bruna Filippi
con Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi
con Luca Lazzareschi, Tamara Balducci (date dicembre 2013 e gennaio 2014)
Lo spettacolo previsto nel cartellone del Teatro Storchi, andrà in scena presso il Teatro delle Passioni di Modena.

In una grande stanza bianca, una donna ed un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi – che non si faranno mai dialogo – interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande – risposte che si scatenano e la respirazione bloccata creano una sorta di maratona tra paura e liberazione: ecco, è lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert ci porta, senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci nei meandri di una storia che porta inesorabilmente alla rottura.
Alla domanda “chi amiamo quando amiamo?” Pascal Rambert non dà nessuna risposta, ma si aggira semplicemente nelle possibilità, senza rifiutare quei luoghi comuni che usano almeno una volta due persone che si separano, che cercano assieme le ragioni del proprio disamore.
Due sguardi, due parole e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che muore.

info su www.emiliaromagnateatro.com

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