Li vedi correre dietro un passante distratto, attraversare ponti e calli con il fascio di giornali per le mani, ragazzi della nostra età che conosciamo e con cui in parte lavoriamo, o lavoreremo. Perché questo è quel che accade, ci si incontra sceglie contagia. E se qualcuno non ce la fa, pazienza. Sarà per la prossima volta. La Tempesta continua a imperversare, investe gli spettatori in attesa di entrare all’Arsenale o alla Fenice, in fila fuori al Goldoni, investe ragazzi che ce l’hanno dentro dove gonfia l’onda e dove penetra, gentile, il vento. Vento. Che a volte fa musica come quello che respira en un violìn di questa sera, firmato da Claudio Tolcachir e qui nelle parole di Sergio Lo Gatto. O a volte riporta suoni d’altre “tempeste”, quella di Conrad prima che di Shakespeare, seguendo Diego Pizzorno in dialogo con i Motus. A volte invece è natura che pare morta, rarefatta nelle parole di un fondo griffato Camilla Tagliabue.
«A chi appartiene il mare?» recita l’illustrazione dietro coperta, sotto coperta, di Mariagiulia Colace. Appartiene agli autori di guerre parallele – vera e immaginata, e quindi vera due volte –, quella di Sunken Red (Cassiers) e quella di Ubu Roi (Donnellan/Ormerod), rispettivamenti recensiti da Vincenza Di Vita e Martina Melandri; o appartiene invece ai tanti attori che fanno laboratori qui come in tutta Italia, ricordati nell’incisivo editoriale di Rossella Menna e nelle interviste di Marianna Masselli? Sono loro ad animare questo e altri festival, a specchio con una squadra di undici marinai e in mezzo un comandante: tra tutti loro ci saranno i comandanti futuri, un giorno al timone di altre maestose mareggiate. «Something rich and strange», così disse Ariel di una Tempesta shakespeariana. No, non è morta la natura a Venezia.
Scarica il pdf – La Tempesta numero 4 – lunedì 5 agosto 2013
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