Silenziosa ma severa, Venezia è un giudice che mal tollera la competizione. La sua storia lo insegna: quasi con disinteresse si è lasciata prendere e abbandonare, attraversata da infinite culture mai è scesa a compromessi con l’integrità “etica” della propria estetica, mai ha ceduto alla vanità. Josif Aleksandrovic Brodskij, premio Nobel per la letteratura che alla laguna aveva dedicato uno dei suoi testi più suggestivi, Fondamenta degli Incurabili, scriveva che succede a tutti – prima o poi – di arrivare a Venezia e di sentire l’esigenza di indossare vestiti più eleganti. C’è qualcosa che avviene in questi luoghi, immediatamente, e somiglia a un aggiustamento che solleva tutto un po’ più in alto. La Biennale Danza di Virgilio Sieni fa di Venezia una città aperta. E non è per nulla scontato che, nella perenne congestione lagunare, la danza abbia trovato spazio senza ferire ulteriormente una città già in preda a quell’isteria turistico-artistica che, oramai tipica almeno quanto le gondole, la sottopone a una tensione costante.
Dalla profondità della sua storia, Venezia si protende verso la contemporaneità come nessun altro luogo al mondo. Tuttavia, per i veneziani troppo spesso questa propensione ha significato veder andare alla deriva il desiderio per una città partecipata non solo da chi la frequenta occasionalmente, ma anche da chi quotidianamente la vive: accade di frequente che gli interessi dei cittadini non incontrino quelli delle manifestazioni che, mese dopo mese, il territorio ospita.
È invece un sospiro di sollievo constatare come, grazie alla direzione del coreografo toscano, l’incontro tra la danza contemporanea e la città sia stato reso necessario e posto in maniera chiara tra le priorità della più globale delle manifestazioni coreografiche nazionali. La bellezza liquida dalla quale Venezia emerge, costringe ogni azione artistica a un confronto spietato con la realizzazione – mancata o riuscita – di un compimento. Non si tratta tanto di raggiungere un obiettivo estetico o artistico in quanto tale, ma di intrattenere un rapporto con la trasparenza che le arti tutte sono costrette ad attraversare quando si manifestano, quando cioè sanno diventare concreti atti performativi in un particolare luogo. Ciò significa che tanto maggiore è il rischio di fallire quanto più la condizione di site-specific diventa inscindibile dal fatto stesso di presentare un prodotto culturale in un determinato contesto.
A permettere il compimento del progetto di Sieni è innanzitutto la consapevolezza di un confronto inesorabilmente impari, unita all’accurata scelta delle parole chiave con cui egli definisce la sua cifra: condivisione, apertura, ricerca, creazione, trasmissione.
È così che la danza diventa – negli angoli veneziani – la danza di tutti. Negli spazi aperti è protetta da una sottile teca di vetro, come accade nella sfida delle tre ore di danza raccolta dalle performer di Atleta Donna, oppure al chiuso, custodita dalle mura di sontuosi palazzi come quello – normalmente vietato al pubblico – del Conservatorio.
Non a caso il pubblico segue una programmazione più liquida del solito: sul programma sono segnati due percorsi – A e B – che permettono di assistere al calendario di tutte e tre le giornate. Non è facile orientarsi a Venezia, si sa, ma il pubblico segue e si sposta numeroso da un sito all’altro.
La danza si ispira alla liquidità che l’avvolge, da essa si lascia contagiare: così è accaduto nella maggior parte delle performance realizzate a conclusione dei workshop coreografici della Biennale College tenuti da Arkadi Zaides, Thomas Lebrun, Franck Micheletti e dallo stesso Virgilio Sieni con un centinaio di danzatori.
Grazie al progetto Vita Nova, ampio è stato lo spazio offerto alle nuove, nuovissime generazioni. Oltre ogni aspettativa è stata la prova delle danzatrici di Vita Nova_Toscana, che con sorprendente professionalità hanno presentato una performance di altissima qualità tecnica nella Sala Loggione della Fenice.
Delle creazioni presentate per il ciclo Invenzioni Alessandro Sciarroni il primo giorno e mk il terzo hanno fatto assaporare al pubblico la forza di innovazione che potranno avere le creazioni della prossima Biennale.
A quanto pare, nel suo viaggio da Firenze a Venezia, Virgilio Sieni non ha dimenticato di portare con sé un po’ di Rinascimento. Il suo segno è visibile, senza dubbio, nel programma, ma soprattutto nelle sue creazioni collettive. Agorà-Tutti sarebbe quasi da eleggere a emblema della sua prima edizione come direttore: danzatori professionisti e non, amatori, giovani e non più giovani abitano lo spazio aperto di Campo San Maurizio, di fronte a un pubblico che riscopre, finalmente o per la prima volta, la danza contemporanea come piacere condiviso. A qualche giorno dalla fine della manifestazione, resta vivida la sensazione di un sasso lanciato lontano, oltre la siepe che normalmente separa gli artisti dal pubblico. Si attende con impazienza il prossimo anno che, senza dubbio, porterà con sé una Biennale Danza popolare e non per questo meno sofisticata.
Gaia Clotilde Chernetich