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Il teatro In fondo agli occhi di Gianfranco Berardi

foto di Chiara Ferrin
foto di Chiara Ferrin

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In fondo agli occhi ci sono immagini che s’imprimono nonostante il nostro sguardo, quasi distrattamente si lasciano catturare e disegnano una sagoma sulla retina, dove resterà per sempre, qualsiasi cosa guarderemo oltre. In fondo agli occhi c’è la malattia di chi non vede, ma c’è anche di contro lo sguardo intimo, quello che va verso l’interno e si guarda dentro, da cui filtrare sé stessi e la propria verità. Sembra proprio esserci questo nel cuore del teatro di Gianfranco Berardi, autore e attore tarantino che con la propria condizione ipovedente dialoga e in scena la mostra perché si faccia paradigma, metafora dell’esistenza. In fondo agli occhi Berardi tiene tutto ciò che non ha avuto bisogno di vedere concretamente ma che pure ha visto di questo paese e di come è stato ridotto: ridarlo in uno spettacolo è dichiarare di vedere, e vedere forse più a fondo della prima vista. Appunto: In fondo agli occhi, titolo di questo nuovo lavoro che ha debuttato a Modena a Vie Scena Contemporanea Festival 2013, da lui scritto e interpretato assieme a Gabriella Casolari, e di cui affida la regia alla cura di César Brie.

In scena ci sono due podi ai due lati del palcoscenico: l’uno nero e l’altro rivestito di una palma tropicale, entrambi pieni di cartoline appese alla rinfusa; nel mezzo quattro sedie in fila che danno lo schienale al pubblico, piene di abiti e panni affastellati. Berardi ci cammina come non esistessero, ciò che conta è il suo andare e venire, recitare e rivolgersi alla platea, farsi cioè portavoce e tramite di quello spazio mediano, letteralmente “occhio” per lo sguardo altrui. È allora che l’uomo si fa riconoscere: è Tiresia, cieco veggente e forse per questo saggio, che si vestirà con la divisa da calciatore della nazionale italiana (quella dei Mondiali di Italia ’90) con il numero simbolo 10 e il nome sulla schiena; in tale frangente entra in scena Italia, una donna che fin troppo chiaramente esemplifica quella metaforizzazione del paese omonimo, donna che egli non ama ma che fa parte in ogni caso della sua vita, donna con cui aprirà il “Bar Italia” lampeggiante una scritta al neon tricolore sulle note di Va’, pensiero e di cui tuttavia non può privarsi, donna che si accontenta di avere lui dopo esser stata sedotta e abbandonata dal suo uomo e che ora ne accudisce un altro, meno meschino forse ma che non è in grado di elevarsi dalla sua mediocrità.

foto di Chiara Ferrin
foto di Chiara Ferrin

Lo spettacolo, nato nel 2011 dalla raccolta di testimonianze nei bar di tutto il paese, se ne avvale non per i caratteri con cui dar vita a personaggi sintomatici, ma recuperando le loro storie strampalate e simboliche di una condizione contemporanea di certo sopra le righe. Quel che ne nasce è il ritratto da baraccone di una nazione con tutti i suoi problemi, tristemente noti: la sua democrazia monca, la sua ipocrisia, il talento per annientare i propri valori, le sue iniquità sociali, infine la sua voglia di rivoluzione che sembra pari a quella di un bombolone alla crema, da desiderare ma non addentare mai, per paura di perdere la linea. La regia di César Brie ha qualcosa di jazz, un’allegria ragtime che cerca il tempo, di tenere il tempo, perché l’attore ci possa danzare il suo assolo debordante, com’è in scena Gianfranco Berardi. Perché certo forse alcune delle scelte annotate mantengono qualche didascalia di troppo, certo qualche nota esce fuori dal tracciato, ma la verve inarrestabile dell’artista pugliese è motivo primo e ultimo per vedere questo spettacolo, già da sé una necessità. Perché sincero, perché mosso da un’accensione di meraviglia, di stupore nei confronti dell’arte scenica, come se ogni volta si sorprendesse che si può fare, si può stare qui e parlare e che qualcuno addirittura ascolti. Tutto, tutto il suo teatro è In fondo agli occhi, basta tenerlo sul palco perché sia chiaro, in fondo agli occhi dov’è quella membrana tra la verità e la rappresentazione, quel velo che sta fra le cose e la loro messa in scena: In fondo agli occhi è proprio il luogo dove si nasconde – e quindi si svela – il teatro.

Simone Nebbia

Visto al TeTe Teatro Tempio di Modena per Vie Scena Contemporanea Festival in maggio 2013

Guarda lo spettacolo intero su e-performance

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IN FONDO AGLI OCCHI
di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari
regia César Brie
luci e audio Andrea Bracconi
elementi scenici Franco Casini Roberto Spinaci
collaborazione musicale Giancarlo Pagliara
organizzazione Carlotta Ghizzoni
produzione Compagnia Berardi-Casolari
con il sostegno di Teatro Stabile di Calabria

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