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Le voci di dentro: Toni Servillo nei sogni di Eduardo

le voci di dentro
Foto di Fabio Esposito

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Quando si prova a definire il teatro, cosa sia e quale il suo rapporto con il mondo reale, facile è disperdersi in mille rivoli di definizioni all’apparenza incomplete, ma la cui parzialità non è altro che lo specchio più concreto di cosa veramente il teatro, dell’uomo, è in grado di rappresentare. Non casuale allora la tendenza dei grandi autori di ogni tempo a riferire l’intimo grado della propria riflessione proprio al teatro, come ultimo e primo e più vero campo d’indagine che all’umano sia conforme. Da Shakespeare a Pirandello, passando per Molière o Beckett, il punto d’incontro fra le epoche del mondo e la loro rappresentazione è per tutti proprio il palcoscenico, spazio metaforico e motore della creazione. Tra questi grandi autori è di certo Eduardo De Filippo – pur se il cognome sarebbe superfluo – per il quale «la verità del teatro è la finzione»: l’intimo segreto cioè dell’individuo, che in teatro risiede, è messo in arte, è come esfoliato di orpelli protettivi e presentato nella sua nudità, nella sua natura che, scoperta al pudore dell’artificio – ma si badi: non della falsità –, si copre.

Si rivelava al crescendo della viltà il secondo Novecento messo in salvo da una guerra aberrante e meschina, troppo rapidamente sottratto alle responsabilità individuali e collettive di un presente dimentico del recente passato, mescolato della paura protezionista e della scaltrezza parassitaria in cui si andavano fortificando le basi di un’Italia da ricostruire. In questo contesto vanno lette le scelte resistenti del già famoso Eduardo, autore di testi in contrasto con la nascente tendenza consolatoria dell’autoassoluzione e capace invece di incarnare l’uomo non come era, ma come stava diventando. La compagnia che l’aveva visto negli anni precedenti attore di farsa di fianco ai fratelli Peppino e Titina è ormai sciolta dal 1944, la nascente che prende nome Il Teatro di Eduardo già l’anno successivo e quando ancora non sono del tutto spenti i fuochi della battaglia mette in scena la sua Napoli milionaria!, affresco già disincantato di quello che lo stesso autore muoveva a fulcro del suo teatro: il «conflitto fra individuo e società». Nella nuova consapevolezza che si va strutturando in lui rispetto alla condizione umana, luogo d’indagine resta ancora Napoli, la sua Napoli in cui però c’è il mondo; proprio qui prende corpo l’ultima di una serie di cinque commedie atte a svelare il divenire del presunto sviluppo italiano (insieme a Filumena Marturano, Questi fantasmi! e Le bugie con le gambe lunghe): Le voci di dentro, scritta nel 1948 e più precisamente, come dice Salvatore Quasimodo nella prefazione alla pubblicazione su Il Dramma l’anno successivo, «in diciassette ore», affinché restasse un testo aperto e frutto «di una lenta costruzione scrollata poi con violenza bruciante di scrittura».

Le voci di dentro
Foto di Fabio Esposito

La fortuna della commedia giunge ai nostri giorni per opera di Toni Servillo che, prodotta dal Piccolo Teatro di Milano con Teatro di Roma e Teatri Uniti di Napoli, ne porta in scena una versione fedele e appassionata: Alberto Saporito, giunto in casa Cimmaruta assieme al fratello Carlo, ottenebrato da un sogno fa arrestare l’intera famiglia accusandola di un assassinio; ma quando si accorgerà dell’abbaglio, avrà già ascoltato sorpreso la diffida intestina di tutti i familiari che si accusano l’uno con l’altro di un crimine inesistente, svelando a sé stesso e al mondo che non è l’assassinio il crimine ma averlo creduto possibile per mano dei propri congiunti, averne architettato uno vero per coprirne uno presunto. Fin qui si spinge l’uomo di Eduardo, l’uomo bieco che lasciava il tempo della solidarietà per annegare nella melmosa era dell’arrivismo.
Una storia d’interni, dunque: a casa Cimmaruta scorre un benessere sospetto alla fine di una guerra che ha invece impoverito i fratelli Saporito, incapaci di rinvigorire il loro commercio di sedie per feste di piazza che nessuno fa più, incapaci di mostrarsi uniti di fronte a tale avversità; in questa seconda casa vive il vero protagonista della vicenda, Zi’ Nicola, che ha deciso di smettere di parlare «perché la saggezza è muta», dice proprio Eduardo, che ha deciso di vivere in un angolo della casa esprimendosi soltanto con lo scoppio di fuochi artificiali, una lingua che Alberto è l’unico a capire e di cui già piange, nel mondo che l’attende, la prossima scomparsa.

Toni Servillo, regista e primo attore, mette in campo un ensemble composto da interpreti di grande spessore: tra di essi il fratello Peppe Servillo (che interpreta proprio il fratello Carlo nella commedia) che dà vita a un Carlo Saporito in evoluzione, dapprima incavato e in tono minore, grazie agli eventi si dimostra presto astuto calcolatore e quindi perfetto esempio dei tempi; con loro sono tra gli altri Gigio Morra (Pasquale Cimmaruta) e Daghi Rondanini (un asceta clochard il suo Zi’ Nicola), ma anche giovani e promettenti attori come Vincenzo Nemolato (Luigi Cimmaruta) e Chiara Baffi (la cameriera Maria), di sicuro avvenire.
La messa in scena si avvale dunque di un testo forte e puntuto, tale ne resta l’impatto per rispetto alla materia e per la qualità raggiunta dall’intero corpo scenico; se qualcosa non convince è in qualche scena animata da una eccessiva confusione (soprattutto il finale un po’ scombinato) in cui forse l’onirismo della commedia è penetrato come fosse nebbia, e nell’interpretazione dello stesso Servillo che appare troppo appariscente e manierato in alcuni punti, come non servisse a volte far intendere quanto dice ma contasse solo dire, e che fosse lui a farlo.

Proprio in quegli anni Eduardo compiva il passaggio definitivo per affrancare la sua scrittura e, raccogliendo la lezione beckettiana più che quella pirandelliana, sublimare in sé farsa e tragedia del suo presente, la totalità del mondo a lui contemporaneo, della sua realtà. Scrive Cesare Garboli in L’incubo della misantropia sul Corriere della Sera il 21 gennaio 1977 (intervento riportato nella bella pubblicazione del Piccolo Teatro edita per l’occasione): «Vicino al realismo, Eduardo cercava qualcos’altro. Seppe tradire il realismo beffandolo col paradosso, inquietandolo con la misteriosa emulsione di un teatro magico ed esterrefatto, dove il nonsenso e gli spettri sono di casa né più né meno del maccherone riscaldato o del ferro da stiro». Le voci di dentro è dunque antispeculare affresco dell’umanità che tiene in sé il complemento dato dal quotidiano e dal metafisico, come l’atto finale di questo affondo nella società nascente in cui l’individuo desidera parlare solo per «chiedere un poco di pace», ora che tutti fanno più rumore del suo silenzio; in cui l’uomo moderno è ormai incapace di compitare la propria presenza, il proprio stato umano e insomma, per precisa analogia, di definire il suo teatro.

Simone Nebbia

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In scena al Teatro Argentina fino al 2 giugno 2013

Vedi qui la commedia completa con Eduardo del 1978

LE VOCI DI DENTRO
di Eduardo De Filippo
regia Toni Servillo
con (in ordine di apparizione) Betti Pedrazzi, Chiara Baffi, Marcello Romolo, Lucia Mandarini, Gigio Morra, Peppe Servillo, Toni Servillo, Antonello Cossia, Vincenzo Nemolato, Marianna Robustelli, Daghi Rondanini, Rocco Giordano, Mariangela Robustelli, Francesco Paglino
scene Lino Fiorito
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta
suono Daghi Rondanini
aiuto regia Costanza Boccardi
coproduzione Teatro di Roma, Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatri Uniti
anteprima al Théâtre du Gymnase, Marseille in occasione di Marseille Provence 2013 Capitale Européenne de la Culture

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