Può apparire singolare che nell’Inghilterra del dopoguerra, dunque non troppo lontano da quell’Irlanda che aveva dato i natali a Beckett, nella stesa Europa in cui cominciava a pulsare il teatro visionario e antinarrativo di Kantor e mentre a ovest dell’oceano le teorie musicali di John Cage insieme agli scritti di Antonin Artaud creavano una frattura di portata tellurica dalla quale sarebbe nato il nuovo teatro americano e non solo, nel bel mezzo di quegli anni Cinquanta, a scioccare i palchi britannici, benpensanti e borghesi, giungesse la parola tagliente, affilata e senza compromessi di John Osborne. Look Back in Anger venne subito etichettato come il primo capitolo di un nuovo filone, quello dei giovani arrabbiati.
D’altronde la storia del teatro del secondo Novecento, eccetto rari casi, è la storia delle performance arts, la drammaturgia viene lasciata ai manuali di letteratura. Eppure Ricorda con rabbia ha una potenza esplosiva tuttora intatta: Luciano Melchionna, mettendolo in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, nel delicato momento dell’ennesima crisi dello storico spazio romano (la società ha dichiarato pubblicamente le proprie difficoltà a continuare la gestione), ha lavorato proprio su questa direttrice, impostando la regia su un’attualizzazione della parola quanto dei costumi sospendendo invece la scena in un paesaggio post-industriale per tutte le stagioni, quelle del consumi sfrenati. A circondare Allison e Jimmy non ci sono infatti i vecchi mobili descritti nelle lunghe didascalie che introducono il testo, ma numerosi frigoriferi, in diagonale alla sinistra del palco chiudono lo spazio allo sguardo. Altrettante scatole sono accatastate sulla destra, il centro del palco è dominato da una lavatrice. L’ingresso in scena avviene, sotto un arco, passando attraverso una tenda a frange in plastica trasparente: magazzino e cimitero di un consumismo obsolescente e ipertrofico.
Non si risparmiano Daniele Russo e Stefania Rocca nella ricerca di una linea recitativa lontana da facili affettazioni: il Jimmy Porter di Russo è un animale in gabbia, ferito dal passato, si aggira per il palco in con una felpa nera smanicata, pronto a scoppiare di ira per qualsiasi cosa, incapace di amare la propria succube moglie. Stefania Rocca mantiene le pulsazioni del proprio personaggio al minimo, la sua è una lenta implosione, negli occhi la gioia della giovinezza è spenta nell’asfissia di un matrimonio sbagliato. Convince lo spostamento attuato da Melchionna, i problemi, economici e sociali, che attraversano la relazione fino a farla incrinare, oggi sono ancora gli stessi: di fatto il progresso sociale non si è mosso di pari passo con quello tecnologico.
Anche Sylvia De Fanti e Marco Mario De Notaris si muovono a proprio agio nei ruoli dei due amici, il secondo potrebbe essere un ozioso hipster dei nostri giorni, la prima – stivaletto, fusoe, acconciatura perfetta e crocifisso che pende dal collo – è la tipica borghese tutta casa, chiesa parrucchiere e centro commerciale.
Nulla è scontato in Osborne, la potenza del testo non è tanto nel proporre una storia di sentimenti che circolarmente rimane immobile – nella girandola di passioni l’amore iniziale tra i due giovani torna nel finale – ma nel far emergere un dolore lancinante, nel dare voce ad “anime scuoiate” senza cadere nella retorica di un’operazione a tema: ogni ossessione vive anche del proprio contrario, ogni sentimento, anche quello più negativo potrebbe essere riscattato.
Andrea Pocosgnich
in scena fino dal 4 al 14 aprile 2013
Teatro Ambra Jovinelli
Roma
Presentato da Teatro Bellini – Teatro Stabile di Napoli
Attori Stefania Rocca, Daniele Russo, Sylvia De Fanti, Marco Mario De Notaris
Regia Luciano Melchionna
Scritto da John Osborne
Musiche Consulenza musicale di Giovanni Block
Scene – Costumi- Luci Francesco Ghisu-Michela Marino- Camilla Piccioni