Usciti indenni o quasi dai nostri tre passi in questo terribile luna park emotivo, è difficile capire che cosa si possa o si debba raccontare. Chi di un incidente è stato vittima davvero ricorda che resta solo il rumore assordante e lo spettacolo di tutte le paia d’occhi puntate su di te. E forse è in questa declinazione della morte che si abbracciano i tre episodi del progetto Accidentes Gloriosos, nell’accurato montaggio di una vita che si spegne, consegnandosi alla memoria di chi resta, di quella scena di morte, un’ultima impressione di luce.
In tre giorni diversi, con in mezzo sempre uno di pausa – quasi che la programmazione volesse lasciarci tempo per una impietosa elaborazione – si susseguono tre dei sette episodi del ciclo performativo dove l’ideazione di Giulio Stasi incontra la scrittura di Mauro Andrizzi e Marcus Lindeen. Al CSOA La Strada siamo spettatori di una ricognizione intima, Corazon Nuevo: mentre Francesca Muller esegue una debole melodia al pianoforte, Roberto De Paolis fa roteare l’obiettivo di una camera sulla piccola platea, proiettando sullo schermo alle sue spalle primi piani di volti ora imbarazzati ora assorti, ora mezzi addormentati ora apertamente chiamati in causa. Nel momento esatto in cui si affaccia la convinzione che qualcuno, tra di noi, sia parte della partita, l’immagine si ferma sul volto liquido di Tiziana Avarista, grandi e tremanti occhi verdi e voce di velluto che raccontano di quanto splendidi, quasi fotografici, siano i ritratti disegnati dal marito, che prima di quel trapianto di cuore mai aveva avuto in animo di sollevare una matita. Come se dal silenzio profondo di una rinascita organica si sprigionasse l’emanazione ultima di chi quel cuore lo possedeva prima e lì aveva nascosto capacità innate. Come se l’anima, in fondo, esistesse davvero, ma fosse mista al sangue.
La tappa successiva, Fotografo de Accidentes, la percorriamo in una quieta notte di luna piena, a bordo di un furgone che Stasi medesimo guida tra i vicoli della Garbatella. Dall’autoradio Chris Rea canta Driving Home for Christmas, al volante Giulio mi fa: «se vuoi puoi cantare», poi aggiunge: «allacciate le cinture, per favore»; qualcuno di noi – imbarazzato dalla doppia posizione di spettatore/attore – rilascia qualche commento sul chiarore della luna e sulle macchine parcheggiate in doppia fila; il furgone, al secondo giro nello stesso parcheggio, accelera tra gli spazi angusti. E di nuovo quella sensazione che qualcosa stia per accadere. E infatti accade, l’urto ci fa sobbalzare. L’incidente viene rivissuto, sussurrato alle orecchie, ora che il furgone è parcheggiato su un marciapiede e la ruota della bicicletta che abbiamo investito viene collocata su un muro che ne ospita altre. E girano come ingranaggi, mentre una voce dallo stereo racconta la macabra passione di fotografare gli incidenti.
Lo scatto della fotografia di morte torna nel terzo episodio, Accidentes de Coches, ambientato nell’officina MM Car Service, dove la nostra auto viene issata sul pianale a fronteggiarne un’altra. Al posto di guida, Elena Cucci (che si alterna con Jun Ichikawa) ci guarda trapassandoci da parte a parte con i suoi occhi vitrei; le sue labbra si muovono e la voce arriva dal nostro autoradio a raccontarci di quel primo flash, del dialogo muto scambiato con la donna uccisa dall’incidente, appesa alla cintura di sicurezza con gli occhiali sporchi di sangue e i vestiti che nella descrizione – crudeltà ultima – sono tali e quali ai nostri.
Il lavoro di Giulio Stasi è un lento e coraggioso cammino nell’articolazione di un linguaggio. Il grande rischio assunto è quello della penetrazione totale della distanza tra fortissima materia drammaturgica e sottile resa scenica; un rischio che si assume la responsabilità di un impatto violento su spettatori indifesi, ma lo fa con la grazia netta della ricerca, con l’eleganza della semplicità e rinunciando in partenza a qualsiasi scorciatoia ammiccante. Nel triangolo di sguardi (performer, spettatore, riproduzione dello sguardo); nel corpo umano sintetizzato in una bicicletta; nella voce distante eppure dilaniante di quell’incidente frontale: in tutto questo sta il senso di una realtà delle emozioni che non è mai emozione pura, ma sempre sempre sempre circostanza critica. E questa urgenza troppo spesso viene sottovalutata.
Sergio Lo Gatto
visto in aprile 2013 a Teatri di Vetro 7
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ACCIDENTES GLORIOSOS – capitoli 1, 5, 6
testo: Mauro Andrizzi e Marcus Lindeen
traduzione, ideazione, regia: Giulio Stasi
aiuto regia: Elena Cucci
con: Tiziana Avarista Jun Ichikawa, Elena Cucci, Francesca Muller, Roberto De Paolis, Giulio Stasi
supervisione tecnica: Giacomo Marchioni
produzione: Rosabella Teatro con il contributo di PF, PP, SR