HomeVISIONIRecensioniEleonora Danco. Il corpo nello spazio e - forse - nel tempo

Eleonora Danco. Il corpo nello spazio e – forse – nel tempo

Nessuno ci guarda
Nessuno ci guarda

Ascolta il podcast

Farfalle non ce ne sono, né primavere o raggi di sole su campi di grano. Nel teatro di Eleonora Danco è tracciata una linea perfettamente riconoscibile che riconduce al lato nascosto dell’esistenza, quello che non si dà a vedere, che si tiene nel segreto della buona educazione e del vivere civile. Nei suoi spettacoli allora si affacciano sentimenti in contrasto che alternano strappi di dolore a momenti di lucido sarcasmo, in cui la performer e autrice connota le sue parole rabbiose con immagini di periferia e di vite violate, si badi, non da eventi particolari, bensì dal semplice scorrere dell’esistenza. La linea è allora fatta di segmenti che segnano le tappe dei suoi monologhi, ancora più chiaro oggi che vengono proposti in dittico Donna numero 4 e Nessuno ci guarda, rispettivamente ultimo e primissimo monologo, in un Teatro Vascello accogliente, cui soltanto chiederemmo attenzione per i ritardi cronici (più di mezz’ora anche stavolta) che non rendono giustizia all’ottimo lavoro curatoriale svolto dalla stagione.

Cadenze ipnotiche di musica lounge (scelta da Marco Tecce) accolgono in scena i passi di lei che inizia a misurare il palcoscenico con solo una poltrona di fronte e una sedia di lato, prima di qualsiasi parola. Il suo teatro è dunque fisico, lo è la parola sfiancata dal corpo in movimento, come sfiancato è il corpo stesso dall’abitazione difficoltosa di uno spazio che pare in ogni caso respingerla. «È una falsa dimora il corpo», un contenitore di parole e gesti come spoglie mortali, in corso di esistenza, potremmo dire un’urna in cui si abita – in vita – ciò che si avvia a sparire. Sotto una luce tenue d’interno sera, il racconto frammentario si condensa nella relazione con il cibo che è muto nutrimento e appagamento di desiderio, quindi rispondente a due differenti approcci, due antitetiche sollecitazioni che spingono a esasperazioni di diversa natura e che proprio il corpo si appresta a dirigere. Lei deve resistervi, il cibo la costituisce, è quindi a un tempo parte di lei ed elemento esterno che su di lei agisce non solo biologicamente ma anche socialmente: il cibo è allora spazio di relazione, strumento di misura che attraversa la vita presente, la memoria, le proiezioni inconsce che amplificano il disagio.

Caleidoscopio della propria interezza, Eleonora Danco si frammenta perché sia vista del tutto nella deformità che compone gli uomini. Una maggiore intenzione drammatica, non priva di dolcezza, ricade allora nel secondo lavoro, Nessuno ci guarda (testo del 2000, pubblicato poi da Minimum Fax), che la fa ritornare a un’infanzia difficile e infelice e che come una piena di fiume nata dai monti riaffiora tra le valli della sua vita di oggi.

Nessuno ci guarda
Nessuno ci guarda

Regina senza corona, con attorno un regno infame da sé stessa eretto perché sia fatto esplodere. E crollare. Una biografia intera costituita dai propri spettacoli. Eppure. Eppure qualcosa non torna, nello spazio che i suoi passi perimetrano in lungo e in largo, a voler considerare i due monologhi distanziati dalle estremità del tempo e dell’esperienza: il suo stile ha attraversato questi anni, e così i temi e le ambientazioni, senza modificarsi, come fosse immobilizzata nei testi; la sua invettiva sembra aver perso di carica, come non rispondesse oggi al mutamento dei tempi attorno a lei, senza tuttavia che l’universalità della proposta si erga qualitativamente a farsi definizione, paradigma dell’esistenza umana. La sensazione che ci si trova ad affrontare è che le sue ferite da taglio, le stesse che la rabbiosa presenza scenica di questa artista scandisce in frammenti come lapilli, siano inferte e già suturate a un corpo che non sembra risponderne più, siano cioè ormai prevedibili così come le azioni, le pose, le manifestazioni di ciò che – l’abbiamo capito – Eleonora Danco è stata, è e rimarrà.
Ma è dunque così? Rimarrà nella delicatezza sotterranea (o sotterrata) questa rabbia? Tutto questo dolore irredento e vivamente rappresentato? C’è bisogno, voglia, stima per credere che un cambio di registro e di intenzione sappia restituire l’incidenza di un’artista capace e solida, cui guardare con rinnovato interesse affinché il suo dinamismo torni fuori da lei e non spezzi, sottopelle, il coltello affondato nella ferita.

Simone Nebbia

Visto al Teatro Vascello in aprile 2013

DONNA NUMERO 4 + NESSUNO CI GUARDA
di e con Eleonora Danco
regia Eleonora Danco
musiche scelte da Marco Tecce
costume MDM
disegno luci Burbetta – Terzoni
tecnico luci Tiziano Terzoni
Scena-Vuota
aiuto regia Camilla De Bartolomeo
assistente alla regia Ludovica Sistopaoli
organizzazione Elisa Pavolini
produzione Compagnia Eleonora Danco, Benedetta Fontani
ufficio stampa e promozione Artinconnessione _Chiara Crupi

Scritto su commissione di Expo Milano 2015, con al centro il tema dell’Esposizione Universale di Milano: “Nutrire il pianeta-Energia per la vita”. Con il Patrocinio Expo Milano 2015

DONNA NUMERO 4 è stato pubblicato da Skirà ed Expo Milano 2015 nel volume “Storie di cibo Racconti di vita”, Skirà edizioni.
NESSUNO CI GUARDA è pubblicato da Minimum Fax in Ero purissima (2009).

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...