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Atlante XXVI – Short Latitudes – Drammaturgia in cerca del nuovo realismo

R. Magritte - I due misteri (1966)

La realtà è morta. Bentornata realtà. Tra le grandi e sempre irrisolte questioni attorno alla drammaturgia contemporanea è senza dubbio il racconto del presente, dell’oggi, di quanto ci accade di fronte e attorno e di cui siamo irrimediabilmente parte. Ecco, la difficoltà: il racconto del presente ci contempla o meno? Possiamo dire di farne parte se ne forniamo una visione esteriore e priva di noi stessi? Lungo questo crinale si sviluppa la riflessione generata esaminando le letture dei testi nati all’interno del progetto Short Latitudes, tentativo promosso in collaborazione con il British Council di diffondere la cultura teatrale inglese in Europa e così alimentare la contaminazione con altre tradizioni drammaturgiche del vecchio continente. Dopo la serie di appuntamenti laboratoriali con Caroline Jester e Steve Waters dei mesi scorsi, nella fase finale i testi sono stati presentati al Teatro i di Milano in forma di lettura scenica, aprendosi al confronto con alcuni sguardi esterni tra cui Magdalena Barile e Renato Gabrielli.

Punto di partenza del progetto è, secondo dichiarazione, «la funzione programmatica della scrittura inglese di raccontare il presente e di essere snodo tra cittadini e temi civili fondanti». L’intenzione è pertanto un racconto che poggi su una struttura concreta di confronto fra cittadino e cittadinanza, uomo e comunità. Nell’incontro tenuto all’Università Statale di Milano, la stessa Caroline Jester invitava a pensare «quanto si possa scoprire di un luogo indagando e immaginando come si comportino le persone che lo abitano, che lo vivono»; la drammaturgia è dunque il processo che di questi luoghi vissuti e abitati fa specchio, producendone immagini particolari che siano in grado di connotare l’universale.

«Per preparare una poesia si prende un piccolo fatto vero (possibilmente fresco di giornata) […] conviene curare spazio e tempo: una data precisa, un luogo scrupolosamente definito», così esortava già Edoardo Sanguineti in Postkarten. Poesie 1972-1977 (Feltrinelli, 1978). Anche se con risultati assai diversi, il processo indicato da Sanguineti per la poesia è in sé molto simile alla ricetta di composizione drammaturgica che sta caratterizzando una certa scuola britannica. Ma quale pietanza produce nell’Italia dei nuovi Anni Dieci? Tra i testi presentati in lettura affiora con chiarezza un certo desiderio di rintracciare il fuoco creativo nell’emergenza sociale, il «piccolo fatto vero» è pertanto un fatto di cronaca, o meglio, è il tentativo forse incosciente di rintracciare il fatto dietro quella che ci viene consegnata come rapida notizia: news, si dice proprio in inglese nel giornalismo. Il quadro allora ricostruito è un piccolo mondo moderno che articola in azioni e reazioni umane l’integrazione e il disagio di una comunità, al cui interno prendono vita razzismi e sottorazzismi fra diverse etnie in lotta per far parte, attraverso quella comunità, dell’intero mondo. Il loro desiderio di affrancarsi dalla condizione sociale in cui vivono esprime una necessità molto simile a quella del sottoproletariato Anni Cinquanta che usciva dalla guerra, con una differenza sostanziale: se allora la scala era su basi di miglioramento economico (cadendo nell’illusione che lo sviluppo fosse sinonimo di progresso), in questo quadro è l’intolleranza etnica e religiosa, quindi culturale, il campo di battaglia.

Posti i temi, il panorama che si staglia a una visione d’insieme è una traduzione ancora traballante dell’immagine reale, del contesto e dell’azione in esso svolta, in un’immagine drammatizzata che si avverta come unica e necessaria in luogo di qualsiasi altra. La restituzione del fatto di cronaca non sembra aver subito un processo di trasformazione, come se quello specchio di realtà fosse un riflesso diretto e non, come forse più interessante, una rifrazione prismatica in grado di restituire la realtà non come immagine ripetuta ma come di nuovo creata. Sintomatico è l’uso eccessivo di una didascalia descrittiva, come annota Maddalena Giovannelli nel successivo incontro di confronto, così come puntuali sono le parole della drammaturga Magdalena Barile che denuncia il desiderio di un maggiore spessore nel linguaggio dei personaggi, al fine di renderli concreti e comporre attraverso di essi un contesto credibile. Ecco dunque il tema di partenza: una partecipazione più diretta, immanente, degli autori alla materia potrebbe corroborare la vitalità ancora esile di questi testi, restituire una visione meno stilizzata e sviluppare il meccanismo teatrale affrancandolo da quello meramente televisivo.

C’è dunque in Italia ancora una distanza fra rappresentazione del reale e nuovo realismo, di cui si avverte tuttavia necessità, come proprio fu nel periodo che dagli Anni Cinquanta si consegnava al decennio successivo e che il cantore di quella emergenza, Pier Paolo Pasolini, bene inquadrò nel componimento In morte del realismo (in La religione del mio tempo, Garzanti, 1961). Il meccanismo da indagare è forse quello di un tradimento, di una messa a morte della realtà attraverso una rifrazione deformata che quindi sia in grado di distinguere il racconto di una contemporaneità di continuo sfuggente, rispetto invece all’attualità, la rispondenza speculare di eventi e funzioni. Attuale è ciò che invecchia appena se ne compie il riflesso. Contemporaneo è ciò che resiste al tempo in mutamento, proprio perché dal mutamento ha saputo rifrangere in mille direzioni il suo raggio prismatico. Non si abbia paura, di restarne accecati.

Simone Nebbia

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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Stratagemmi e Il Tamburo di Kattrin

Articolo online anche su shortlatitudes.com

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