Straordinario, innanzitutto, sarebbe che un teatro di questo livello fosse davvero accessibile a tutti, specialmente quando di mezzo c’è una corealizzazione di un teatro Stabile. E invece molti appassionati spettatori sono rimasti fuori a commentare il prezzo troppo alto dei biglietti.
Sfatato il mito (quasi una minaccia) che la sua carriera si completasse con Un flauto magico, Peter Brook è andato avanti, fluttuando a mezz’aria come solo le leggende viventi sanno fare. Recuperando la versione originale inglese di Le Costume, che aveva visto un debutto al Théâtre des Bouffes du Nord nel 1999, The Suit raccoglie le atmosfere africane con cui già il grande regista inglese aveva saputo raccontare sul consueto tappeto: con l’ausilio di un terzetto di attori incredibilmente “intonati” tra loro, di qualche sedia colorata e tre appendiabiti, il romanzo omonimo dello scrittore sudafricano Can Themba prende il volo con la stessa leggera magia con cui si soffiano al vento le piume. L’abito citato nel titolo è quello lasciato, durante una fuga fulminea, da un amante scoperto dal marito tradito e che quest’ultimo imporrà alla bella moglie come “ospite speciale”, fantasma muto di quell’adulterio, animato come un pupazzo in tutta la lugubre inespressione della sua gruccia. L’amaro e poetico apologo, con il suo sottotesto di violenza, di barbarie psicologica e di disperata lotta per la sopravvivenza civile, ricalca la realtà sociale e politica dell’Apartheid nel segno indelebile di un teatro essenziale, così preda della musicalità dei propri stessi gesti da ergersi persino al di sopra delle note alate di una chitarra, una tromba, un piano e una fisarmonica. Suonati, questi strumenti, con eccezionale maestria da un trio che non si limita ad accompagnare le scene ma che ne prende parte, risolvendo con candore quella presenza obliqua che spesso ha la musica dal vivo in scena. Stessa opera mimetica la porta a compimento un disegno luci discreto anche se non neutro, in cui transizioni e tinte non sfociano mai nella soluzione a effetto, sono più il termometro di una storia che ha respiro umano.
Nell’equilibrio perfetto tra suono, movimento, canto, silenzio, sguardi, luci e colori la scena esplode d’un tratto in un accesso di micro-catarsi, una dimensione altra in cui c’è spazio per il musical puro (lunghe tirate cantate che descrivono la messa al rogo della township o celestiali intermezzi in afrikaans che sono filastrocche da schiavi), per il mimo, per lo sfacciato allontanamento tra attore e personaggio, addirittura per l’invito sul palco di tre spettatori, installati con un agio di cui è difficile ricordare altri esempi. In questa fiaba terribile, nel fuoco gelido di questo strano e volatile arabesco rivive l’impulso verso un’epica delle piccole cose, quel racconto per immagini e per suoni in cui ci si dimentica d’un tratto l’esotismo della vicenda narrata e persino il caldo della poltrona di spettatori. A conquistare davvero è quel ritmo unico che appartiene solo a Brook, l’eco leggera delle sue indicazioni, che a farci caso potresti ravvisare in ogni gesto con la stessa sicurezza con cui adesso le vedi scomparire, nella completa e totale consapevolezza che di quel gesto stesso hanno gli attori. La sorte del povero Themba, morto in miseria nel 1968 prima di poter vedere il suo paese libero da una delle manifestazioni di violenza sociale più aspre e insieme amare della storia moderna, sta lì come sta lì quell’abito, pende su tutta la scena perfettamente piegata in quelle sue motivazioni che di voce, ormai, non hanno più bisogno.
In un teatro fatto di musica, movimento, canto e parole (testo, anzi, prima e poi parole) l’accordo tra musicisti e attori/cantanti è il ponte delicato su cui poggia qualsiasi sostenibilità scenica. In questo caso la ricerca di quell’accordo la si può dare per scontata. Ci si abbandona all’attesa semplice e dolce del momento successivo in cui di nuovo quella dimensione amplificata dove convivono racconto, evento e partecipazione emotiva tornerà a ospitare i battiti precisi di un rituale di cui, senza saperlo, eravamo già parte integrante. E insieme zelante e appassionato oggetto di sacrificio.
Sergio Lo Gatto
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visto al Teatro Palladium il 14 febbraio 2013
Prossime date 22 e 23 febbraio al Funaro di Pistoia
THE SUIT
Tratto da The Suit di Can Themba, Mothobi Mutloatse e Barney Simon.
Traduttore: Luca Delgado
Adattamento, messa in scena e musiche Peter Brook, Marie-Hélène Estienne e Franck Krawczyk
Luci Philippe Vialatte
Elementi scenici e costumi Oria Puppo
Assistente alla regia Rikki Henry
Con Nonhlanhla Kheswa, Jared McNeill, William Nadylam
Musicisti Arthur Astier (chitarra), Raphaël Chambouvet, (piano), David Dupuis (tromba)
Prima assoluta a Parigi al Théâtre des Bouffes du Nord on 3-4-12
Produzione C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord
Coproduction Fondazione Campania dei Festival / Napoli Teatro Festival Italia, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Young Vic Theatre, Théâtre de la Place – Liège
Con il supporto di C.I.R.T.
Co-realizzazione a Roma Palladium Università Roma Tre Romaeuropa e Teatro di Roma
Tournée 2012/2013
France
30 novembre / 1 dicembre 2012 : Théâtre d’Arras
Chine
6 / 9 dicembre 2012 : Beijing / Beijing Theater Museum
13 / 16 dicembre 2012 : Tianjin / Tianjin Grand Theatre
20 / 21 dicembre 2012 : Shanghai / Shanghai Theatre Academy
Stati Uniti
17 gennaio / 2 febbraio 2013 : Brooklyn Academy of Music / Harvey Theatre / New-York
Lussemburgo
6 / 9 febbraio 2013 : Théâtre Studio/Luxembourg
Italia
13 / 17 febbraio 2013 : Teatro Palladium/Roma
22 / 23 febbraio : Il Funaro Centro Culturale/Pistoia
27 febbraio / 10 marzo 2013 : Teatro Mercadante/Napoli
13 / 14 marzo 2013 : Teatro Cucinelli – Solomeo/Perugia
France
19 / 23 marzo 2013 : Théâtre du Jeu de Paume/Aix-en-Provence
26 / 27 marzo 2013 : Théâtre de Cornouaille/Quimper