All’inizio non capisci perché tutti si agitino, che cosa spinga i personaggi in scena ad angosciarsi così, a torturarsi, a strillare. Dopo tre ore di spettacolo in cui si intrecciano vicende paradossali e stralci di vite vissute ai margini della società, cominci a farti un’idea. Pensi a quante volte, preso dal panico di una giornata storta, di un lavoro che non arriva, di un sogno che non si realizza, di una storia d’amore che non ingrana, di un figlio che non sa cosa fare della sua vita e della tua busta-paga sempre più striminzita, ti sia capitato di alzare i toni, piangere, urlare, non capire o far finta di non capire; hai desiderato con tutte le tue forze di distruggere tutto e di distruggerti, con un bisogno «umano, troppo umano», di schiantarti contro ciò che prima ti accoglie e poi ti rigetta. Contro il mistero della vita. La complessità della vita. L’impossibilità di capirla davvero.
I personaggi del Panico di Rafael Spregelburd sono schegge impazzite che ci somigliano, ci fanno il verso, a noi seduti in platea che magari stiamo anche sonnecchiando e, in fondo, ci stiamo chiedendo che cosa avrà mai di così particolare questo quarantenne argentino che tutti, nel mondo, osannano come il cantore della Crisi. Che lui si riferisca in particolare a quella Argentina di un decennio fa non importa. Sempre crisi è, sempre nel ventunesimo secolo ci troviamo, e sempre di quel modello maledetto cui non sappiamo più rinunciare si tratta: il capitalismo castrante che ci ha rubato l’anima e ci ha imposto di desiderare tutto e subito e quindi, alla fine, di non desiderare affatto, ma solo di consumare.
Non hanno più tempo i personaggi del Panico. Forse non l’hanno mai avuto e lo cercheranno solo quando saranno morti (come fa l’incredulo e spaesato fantasma Emilio). Ballano, si impasticcano, sbobinano lezioni di una lingua che non capiscono, si spaventano, vanno dallo psicologo, si desiderano, si rigettano. Ecco che cosa rende Spregelburd così particolare: non ha paura di dipingerci tutti un po’ pazzi, fragili, buffi, smarriti. La Crisi è globale, è dei sentimenti, dell’individuo. Non è filosofia, non è psicologia, è quello che leggiamo sui giornali tutti i giorni. Devono averlo capito molto bene gli attori, tutti bravissimi, che si scelgono ognuno una debolezza, un vizio, e a turno incarnano il ruolo di vittima e carnefice, nella disgregazione completa della società e dei rapporti. Quasi cronaca, più che teatro.
Il testo è più interessante, forse più riuscito, della Modestia, visto l’anno scorso sempre al Piccolo e dove tutto era meno chiaro, più opaco, non per questo meno affascinante, ma forse più distante. Nella scenografia di Marco Rossi, un cubo rarefatto, spazio mentale più che ambiente, si fa in fretta a ritrovarsi, tanto forti si agitano passioni e pulsioni, tanto uguali a noi sono le manie e le storture dei protagonisti. Non si fa in tempo a chiedersi perché divani e scrivanie entrino ed escano, perché la recitazione a volte non c’entra niente con l’urgenza della vita, col dolore della vita. Non si fa in tempo, e meno male. Perché è qui che vince Spregelburd. Ronconi, con la sua regia, lo asseconda, gli cede il passo, si smarca dal desiderio di dire di più e lascia che la cifra registica si assesti su un piano grottesco, ma comunque dosando bene toni ironici e riflessione.
E quando, sul finale (la parte più debole dello spettacolo), la soluzione è vicina e la verità sta per salire a galla, nessuno è veramente interessato al mistero.
Francesca Gambarini
in scena dal 15 gennaio al 10 febbraio 2013
Piccolo Teatro Strehler [cartellone 2012/2013]
Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Stratagemmi
IL PANICO
di Rafael Spregelburd
traduzione Manuela Cherubini
regia Luca Ronconi
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci A J Weissbard
suono Hubert Westkemper
trucco e acconciature Aldo Signoretti
con (in ordine alfabetico) Riccardo Bini, Francesca Ciocchetti, Clio Cipolletta, Fabrizio Falco, Iaia Forte, Elena Ghiaurov, Lucrezia Guidone, Manuela Mandracchia, Valeria Milillo, Maria Paiato, María Pilar Peréz Aspa, Valentina Picello, Paolo Pierobon, Alvia Reale, Bruna Rossi, Sandra Toffolatti
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa