Il 21 dicembre 2012 il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia, presieduto da Paolo Baratta, ha nominato Virgilio Sieni direttore del Settore Danza per il triennio 2013-2014-2015. Prendendo il posto di Ismael Ivo, Sieni sta in queste settimane mettendo a punto il programma, che si terrà come di consueto nel mese di giugno. Durante una piacevole conversazione, gli abbiamo chiesto di illustrarci il suo lavoro, la sua idea di danza e di movimento e la filosofia con cui è in procinto di realizzare il “suo” primo Festival in seno alla Biennale.
In questi ultimi anni il suo lavoro si è alternato tra una danza più pura e una ricerca sul gesto, sul corpo, spesso anche a contatto con esperienze che si situano al di fuori del contesto specifico tecnico relative alla danza e verso un senso profondo del movimento.
Le varie esperienze si vanno a intrecciare. Quella con i corpi non formati alla danza consiste nel portare quei corpi – tramite le parole – verso una espressione, avvicinarli al gesto della danza. Sono esperienze tecniche anche quelle, che approfondiscono gli aspetti più sottili e indicibili rispetto a un approfondimento che riguarda comunque i codici della danza, dove l’approfondimento è più legato a una struttura materica del corpo e che poi va a inondare lo spirituale. Le altre esperienze, condotte con tutte le età dell’uomo, dai bambini agli anziani, fino ai non vedenti, riguardano la capacità di trasmissione propria del danzatore, l’abilità a muovere l’altro attraverso la consapevolezza del corpo che ha di fronte. È una pratica che si rivolge a un’idea di dislocazione del proprio corpo nel corpo degli altri.
Che cosa significano le diverse età rispetto all’espressività di un corpo, al movimento come mezzo espressivo?
Il percorso dell’artista è fatto di continue cadute, di cesure, di affinamento e sprofondamento nel proprio stesso linguaggio. Lavorando con queste altre esistenze abbiamo costantemente di fronte uno sbriciolamento, una frantumazione dei codici. Quello che rimane – ancora una volta – è un’esperienza. Un’esperienza di vita condotta fino a quel momento che appare in un corpo intento a esprimere una certa neutralità, che non è stato incorniciato dai codici né condotto in una direzione specifica. Questa esperienza è connessa sempre all’emergere di una fragilità, di una debolezza, di una dislessia ed è un ulteriore arricchimento dell’eredità e del patrimonio dell’uomo.
Dialoghi sul corpo 24 giugno 2012 / MASSERIA L’OVILE / Ostuni
È difficile per gli occhi degli artisti e del pubblico liberarsi dalle costrizioni imposte dalle categorie che dettano, almeno in questo paese, gli aspetti produttivi dell’arte performativa e che tristemente influenzano gli aspetti artistici. Parte della missione del suo lavoro mira a scardinare queste vecchie categorie. La danza rappresenta un linguaggio specifico? E il linguaggio del corpo è in grado, oggi, di raccontare il presente?
Questa una domanda bella e articolata, una domanda complessa. La danza, il corpo, il gesto e la sua dinamica si appropriano di un passato, di un’antichità, di un’esperienza vissuta politicamente, che ci giunge attraverso la storia e l’elemento antropologico. Ed è fondamentale percepire questo aspetto: noi, in quanto esistenti del contemporaneo, dell’oggi, ci nutriamo e ci muoviamo attraverso una deiezione, un fiorire attraverso queste esperienze. E allo stesso modo è chiaro che il corpo si propone anche come slancio e pulsione verso tutto ciò che deve ancora accadere, quel tramite temporale, quel medium tra un passato e un futuro sempre avanti a noi e che, quasi come in una giostra, ci include, ci coinvolge. In questo esercizio di equilibrismo bisogna stare attenti a non cadere nell’idea semplicistica del patchwork, in cui si mettono insieme tutte le arti elencandole in uno spettacolo. Molte volte un lavoro che è apparentemente di sola danza include tutta una serie di nozioni che invece provengono da altre arti, il cinema, il paesaggio, il territorio.
Che cosa significa creare, produrre danza e ora anche programmare oggi in Italia?
Quella della Biennale di Venezia è senza dubbio una grande opportunità che si presenta, spero non solo a me. Il lavoro, non solo in fase di creazione, ma anche di strutturazione e concezione di un programma, deve sempre esprimere aperture verso tutto ciò che è una pregnanza del suolo, per vedere le capacità di contatto, trasmissione e dialogo soprattutto con l’ambiente e con gli abitanti del mondo. L’opportunità di Venezia si propone come una trasmigrazione tra quello che è la nostra appartenenza e l’appartenenza degli altri.
Qualche domanda riguardo al triennio che la attende. Veniamo dalla conduzione di Ismael Ivo, che puntava molto al contatto diretto con altri danzatori, altri professionisti, e alla dimensione di gruppo. Nella sua direzione pensa di mantenere questa linea del lavoro di gruppo?
La Biennale è una struttura fondamentale non solo per la produzione ma anche e soprattutto per la formazione, dimensione che per me è sempre stata fondamentale [nel 2007 Sieni ha fondato e tuttora dirige a Firenze l’Accademia sull’Arte del Gesto ndr]. Sicuramente tutta la fase di formazione e della trasmissione intesa come progetti formativi verso la creazione verrà sviluppata in maniera articolata. Vorrò addirittura immaginare un versante interamente dedicato al percorso che porta a una creazione, attraverso tutti gli approfondimenti formativi. Immagino la creazione di tanti Arsenali della Danza, concepiti come atelier, come cenacoli, sempre a contatto con le arti e le scienze umanistiche.
Come si pone rispetto al lavoro di quelle forme più ibride, improntate a un linguaggio differente, quelle formazioni altre dalla danza pura, ma che invece mirano ad avvicinare l’artista allo spettatore, creando un medium genuino, diretto, in qualche modo popolare?
Dopo il salto che c’è stato dalla danza di corte e con l’evoluzione del balletto, adesso occorre fare di tutto per ricucire quel rapporto che faceva della danza una dimensione estatica, un aspetto umano puramente dionisiaco. Parlo tanto delle forme altamente tecniche quanto di quelle più popolari. Anche quella è danza pura, per me. E in questi prossimi tre anni la Biennale offrirà sicuramente loro una radura nella quale depositare il proprio percorso.
Sergio Lo Gatto