HomeVISIONIRecensioniWordstar(s). Trevisan racconta gli ultimi giorni di Beckett

Wordstar(s). Trevisan racconta gli ultimi giorni di Beckett

foto di Marco Secchi

Come ve la immaginate una stella mondiale della letteratura durante i suoi ultimi giorni di vita? Di certo indaffarato a stendere le proprie memorie, oppure a godersi gli ultimi attimi di bellezza in riva a un lago. Ma se l’animo è tormentato lo è soprattutto quando si cominciano a fare i conti. E fino all’ultimo respiro l’interrogativo è sempre lo stesso: il sacrifico di una vita dedicata all’arte può sostituire tutta la bellezza che una vita intera può donare?

Samuel Beckett messo in scena nei suoi ultimi giorni, non attraverso le sue commedie, ma nella miseria di una vecchiaia solitaria, è cosciente che questa bilancia di traguardi e rinunce pende in modo sproporzionato da una parte, naturalmente quella del sacrificio.

Le parole, il linguaggio, l’atto dello scrivere: quando il vecchio Sam sta per pronunciare la frase giusta da far annotare al giornalista, venuto a scrivere la sua biografia, compie un gesto emblematico e poetico: cala entrambe le mani sul proprio scrittoio, vicino alla macchina da scrivere, come se stesse scrivendo. Ma è solo un cenno, quasi da direttore d’orchestra. Non è un caso infatti che l’autore di questo spettacolo dedichi lo spettacolo a un artista immortale capace di utilizzare il linguaggio come nessuno prima di lui, ma nel titolo incroci poi questo destino, beffardamente, con quello di un software ormai dimenticato, Wordstar appunto, antenato dei programmi di videoscrittura odierni.

Lo spettacolo diretto da Giuseppe Marini in scena al Teatro Vascello fino al 20 gennaio, con un instancabile Ugo Pagliai nel ruolo dello scrittore irlandese, comincia con un taglio di luce obliquo sul volto del protagonista, seduto ai piedi del letto, in pigiama. Non riesce a tagliarsi le unghie. Questo è il Beckett di Vitaliano Trevisan, un uomo arrivato al capolinea con la piena coscienza di ciò che ha perso e di quello che ha guadagnato, ma con un corpo che non è più lo stesso ormai da anni, trascurato rispetto al cervello. Ed ecco il tema che ritorna, filo rosso nella scrittura monologante dell’autore vicentino, il guardare indietro, soprattutto agli errori, e tentare di capire. Non è d’altronde molto dissimile dal nucleo tematico che alimentava Una notte in Tunisia, in quel testo di un paio di stagioni fa, un altro personaggio centrale della nostra recente Storia diveniva uomo: Craxi si raccontava attraverso un soliloquio interrotto a tratti da personaggi di contorno.

foto di Marco Secchi

La capacità di Trevisan è proprio nel cancellare il mito e far emergere l’umano, mantenendo però una connotazione tragica che impedisce alla goffaggine della vecchiaia di prendere il sopravvento su tutto. In Wordstar(s) l’amplificazione del tragico è portata al parossismo: la regia di Marini asseconda gli scossoni della scrittura sia visivamente – luci acide e cangianti, velatini che nascondono ombre come scure nature morte – che nella recitazione per nulla trattenuta o moderata di Pagliai (appassionata, ma prevedibile). Questi piange in ginocchio, urla, oppure danza improvvisando canzonette e ritmi di altri tempi con un corpo che non lo segue più, si dispera del passato e venderebbe la propria fama per una boccata di vita.

Ironici e leggeri invece gli interventi delle due compagne: la moglie Suzanne, interpretata da Paola Gassman, e la giovane amante Billie (Paola di Meglio). Appaiono con l’ovale cadaverico del viso, una seduta dentro l’armadio intenta a cucire, dell’altra spunta solo la testa sopra a un comò, è una abat-jour. Le due raccontano la propria versione dei fatti, e sembrano essere un omaggio al lato grottesco e comico di Beckett, sono immobilizzate e la loro condizione non è così diversa da quella di Nagg e Nell in Finale di partita.

Trevisan non teme l’impasse, non ha paura della noia, la sua penna guarda ai grandi drammaturghi: c’è la stasi di Cechov e il passato che prende il posto del presente immobile come in Ibsen. Le questioni che pone sono altissime e, alla fine degli 80 minuti di spettacolo, rimangono aperte, come squarci nell’animo di chi avrà il coraggio di farci i conti.

Andrea Pocosgnich

dall’8 al 20 GENNAIO 2013
dal martedì al sabato h 21 – domenica h 18
Teatro Vascello
Roma

WORDSTAR(S)
di Vitaliano Trevisan
con Ugo Pagliai
Paola di Meglio e Alessandro Albertin
e con Paola Gassman
regia Giuseppe Marini
Teatro Stabile del Veneto

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