Quante volte abbiamo detto no, la drammaturgia non è morta? Ecco che torniamo a ripeterlo, a voce un po’ più alta, al termine dell’ennesima ottima prova di Teatro Minimo, in scena – per due settimane di tenitura, un’eccezione, al Teatro Valle Occupato di Roma, fino al 20 gennaio – ancora una volta con un testo scritto da Michele Santeramo, La rivincita. Il vincitore del Premio Riccione 2012 (per Il Guaritore) recupera qui quella che in origine era una sceneggiatura cinematografica, per riconsegnare alla scena e ai suoi spettatori una verità fondamentale: non solo la letteratura teatrale non è morta, ma ribadisce la propria capacità di raccontare l’oggi.
Perché in fondo è di questo che parliamo, quando lamentiamo l’arretratezza della drammaturgia italiana rispetto a quella di molti altri paesi, non solo europei, della mancanza, quasi della nostalgia di un teatro di parola che nell’invenzione di situazioni, di personaggi, a tutti gli effetti nella creazione di un mondo altro ritrovi l’opportunità preziosa di scrivere la storia al tempo presente.
In una Puglia imprecisata i due fratelli Vincenzo e Sabino lottano contro la proverbiale «porca miseria». Il primo, disoccupato e ridotto in definitiva povertà dal fratello che ha usato i suoi ultimi soldi per pagare un debito, obbliga a malincuore la moglie Marta a interrompere la gravidanza di un figlio che «non ci possiamo più permettere». Tre anni dopo, quando i soldi – seppur pochi – ci sarebbero, lei non riesce più a restare incinta. 900 euro al mese di pillole per la fertilità sono il salasso definitivo che porterebbe dritta alla nullatenenza una famiglia che ancora non ha finito di completare il proprio nucleo. Non fosse che Marta escogita una soluzione ingegnosa.
Gelidi campi arati che fruttano di più se vi si seminano rifiuti, strozzini che si arricchiscono, avvocati azzeccagarbugli che speculano sulle cause, malattie che provengono dai veleni agricoli, speculazione edilizia e ferroviaria, burocrazia pachidermica, l’avidità delle banche, la febbre del gratta e vinci, nell’agile testo di Santeramo c’è posto per tutto questo, colori e tratti di un’Italia ridotta a minimo comune denominatore di approssimazione, di disperazione. Il ritmo frenetico – frutto anche di qualche taglio chirurgico commissionato dal regista Leo Muscato, che riesce a non inciampare quasi mai nel pericoloso flipper spazio-temporale proprio della radice cinematografica – agisce in uno spazio aperto per il quale due pannelli dai colori cangianti, come enormi cristalli da cromoterapia, sono sufficienti come fondale, come quinta e come termometro emotivo.
Testo e recitazione lavorano sulle corde dell’ironia, avvolti attorno a giochi di ripetizioni, di rimandi e di scene sapientemente costruite a specchio. Ma Santeramo non permette mai che il tono leggero e la comicità sfocino nella caricatura: fatto salvo qualche ingranaggio che aspetta ancora di essere oliato dalle repliche e la direzione di due personaggi – l’infermiere e il bancario, tirati troppo verso la macchietta – in una danza di dialetto e piccoli lazzi, il gruppo ormai affiatato di ottimi attori (Michele Cipriani, Vittorio Continelli, Paola Fresa, Simonetta Damato, Riccardo Lanzarone e Michele Sinisi) somiglia agli animali di un apologo greco. E la forza sta qui, nel presentare allo spettatore la relazione impietosa di una realtà geograficamente e socialmente ben precisa, ma resa universale dalla sottile operazione che all’interno vi scopre i vizi, tramutandoli uno per uno nell’evidenza dei fatti.
Si tratta di una storia inventata, un “romanzo teatrale” che reclama addirittura un lieto fine, ma che nel valore allegorico di personaggi e situazioni restituisce del presente uno specchio amaro, crudo, lontano anni luce dalla retorica hollywoodiana come anche da quella di certo teatro concettuale e dichiaratamente politico e invece più spocchioso, ermetico e anti-popolare. Contro ogni scetticismo e sfiducia preconcetta, la vera politica, il vero contemporaneo può invece stare qui, nella teatro che parla, nell’affermare con la radice di una lingua «scritta nella terra» l’urgenza del racconto al presente, andando a raggiungere con passione le coscienze. «Non ti devi rassegnare, Vince’, mai ti devi rassegnare!».
Niente di diverso da quello che faceva Pirandello o, ancor più calzante riferimento, De Filippo.
Sergio Lo Gatto
visto il 9 gennaio 2013.
Al Teatro Valle Occupato fino al 20 gennaio 2013
Dal 30 gennaio al 4 febbraio 2013 al Teatro i di Milano
Teatro NEWS – “La Rivincita” Incontro con Teatro Minimo al Valle. Scarica il catalogo
LA RIVINCITA
di Michele Santeramo
regia di Leo Muscato
con Michele Cipriani, Vittorio Continelli, Paola Fresa, Simonetta Damato, Riccardo Lanzarone e Michele Sinisi
scene e costumi Federica Parolini
luci Alessandro Verazzi
produzione Teatro Minimo, Fondazione Pontedera Teatro, in coproduzione con Bollenti Spiriti Regione Puglia, Comune di Andria