Se i Maya, notoriamente sobri nel prevedere e annunciare al mondo la prossima fine, avessero previsto anche tutto questo trambusto da social media per un divenire sorprendentemente protratto, è altamente probabile che avrebbero taciuto la propria veggenza. Già, perché non si fa in tempo a zittire propositi apocalittici che i delusi della catastrofe annunciata rimpallano sul web messaggi a non finire, appuntando ancora sul calendario qualche data in cui distribuire pericolosità da videocassetta: non passeranno che due mesi e un asteroide penserà bene di colpire il pianeta. E va bene. Ma il problema qui è un altro: accadrà ancora qualcosa che ci stupisca diversamente, al punto di comprimere i clamori e sviluppare riflessioni?
Abbiamo imparato la potenza mimetica – e quindi commerciale – del web, capace di inventare seguaci e sostenitori dal nulla (non inventare, pardon, ma reperire e vendere tramite apposite società crea-contatti), capace quindi di modificare la percezione degli eventi e di convogliare reazioni ad azioni reali. Ma c’è un altro aspetto che a questo si associa e non è meno pericoloso, anche se meno visibile per il lento rilascio di ciò che produce: il continuo ribattere di informazioni lampo in pochissimi caratteri ha contribuito non poco a rendere l’informazione stessa aleatoria, già digerita nell’istante della sua assunzione (quindi, nel caso specifico, della reale mancata assunzione), provocando a mio avviso un totale disinteresse alla materia, fosse anche una catastrofe globale come quella dei Maya, un cataclisma imminente come l’impatto di un asteroide, la propria stessa morte o la morte altrui: di questi giorni è il caso del suicidio annunciato su Twitter di un rapper americano ventiduenne che, nell’ovvio silenzio generale, ha salutato tutti e si è sparato un colpo di pistola: vero è quel che accade falso, ma sono cose che si sanno sempre e soltanto dopo.
E allora come reagire di fronte alla notizia, rimpallata sempre dagli States, di un teatro di Minneapolis che ha riservato posti in sala per “twittatori” incalliti che vogliano commentare lo spettacolo cinguettando in ogni posto del mondo? La sorpresa coglie almeno quanto l’indifferenza di fronte a uno dei casi più eclatanti di virtualizzazione delle esperienze, paradossalmente proprio in teatro, là dove la virtualità espressa ha saputo rigenerare la realtà. Se l’intento è banale (moltiplicare l’attenzione con una campagna promozionale gratuita e truffaldina), non lo è l’impatto di una simile disposizione sulla percezione dell’arte teatrale, non solo perché la fruizione ha giustamente bisogno di silenzio e concentrazione, ma perché svilisce il senso stesso dell’esperienza in una ribattente comunicazione di presenza in un luogo, proprio – ancora un paradosso – mentre si sta smettendo di esserci davvero.
Questa disarticolazione della percezione dall’esperienza è un dilagante e fin troppo accondisceso (proprio perché proveniente dal virtuale, quindi intangibile, sibilante) depauperamento del primato culturale nell’evoluzione umana, del ruolo stesso dell’intelletto e della fatica umanistica nell’epoca della “smartizzazione” del pensiero. Avrebbe allora dovuto stupirmi il messaggio email giunto in redazione da parte della Mariano e Giovanni Prosperi Editori che, in virtù della fresca uscita del volume Teatralfilosofia a opera di Maurizio Boldrini, ne allegavano fiorente recensione? Quando Leonardo Sciascia ha visto affiorare all’orizzonte degli anni Sessanta, nell’ascesa di una certa stitica Sinistra, il cretino che in Nero su nero (Einaudi, 1979) definiva «mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare», aveva già previsto (altro che Maya!) tale orribile svilimento del “lavoro culturale”, volendo citare un altro che di questo se ne intendeva, Luciano Bianciardi, autore dei semiseri consigli per diventare un intellettuale provetto (Non leggete i libri, fateveli raccontare, Stampa Alternativa, 2008). Io ho letto la recensione non firmata, ho appreso che «Antonin Artaud e Pier Paolo Pasolini morivano entrambi a 54 anni, alla stessa età Maurizio Boldrini lascia un fiore (unica immagine stampata in copertina e sul libro) in omaggio a quanti noti, sconosciuti, dimenticati hanno reso possibile una visione delle cose diversa rispetto all’insensatezza contemporanea». Rifletto: sarebbe questa di autoscriversi una recensione la «visione delle cose diversa»? Dove starebbe dunque di casa tale «insensatezza contemporanea»? L’esperienza intellettuale sconfitta dalla contemporaneità che decide ora di farne a meno: anche senza i Maya, è proprio la fine del mondo. Conto: 140 caratteri. Bene, quelli giusti per scriverci un tweet.
Simone Nebbia
Rispondo al suo articolo per tre motivi: il primo per rettificare alcune inesattezze, il secondo perché rispondo a chi presta attenzione; il terzo per porgere un invito.
Prima sua inesattezza: lei scrive che la recensione non è firmata. E’ firmata. Riguardi, anzi guardi, in considerazione che lei non ha visto. D’altra parte rispondendo alla mia mail ha scritto per due volte Prospero Editori, invece che Prosperi. Altra svista, veniale, però quando le sviste si sommano arriva la Nebbia del cognome che dovrebbe consigliarle prudenza. Seconda sua inesattezza: “tempo dell’auto-critica”. Si evince che lei crede (come confermato da ciò che ha scritto sempre nella mail privata) che l’auto-critica “sarebbe la rottura di una frontiera” di tempi attuali. Per momento di vanità sarei tentata di scriverle: – ebbene sì, Prosperi Editori è “la rottura di una frontiera” ! – Ma non è così, è un suo errore, che le segnalo ma non le correggo, perché non faccio compiti per altri. Se proprio è interessato alla questione la studi e troverà esempi contemporanei ed anche antichissimi di auto-recensione.
L’attenzione. “L’attenzione è la forma più pura e rara di generosità” (Simone Weil). Lei con il suo articolo ha prestato l’attenzione che le è stata possibile, io le presto l’attenzione che mi è possibile. Spero che lei sia un puro in virtù dell’attenzione che presta e per questo la ringrazio comunque indipendentemente da ciò che ha scritto. Proprio perché ha scritto mi permetto il seguente invito.
La prossima volta provi a scrivere ciò che non ha scritto in questo articolo, così per gioco! E Lasci perdere i “giochetti” che non sono seri. Onori il titolo sotto il quale scrive “Teatro e Critica”, però prima si decida a scoprire il teatro, i giochi, gli acrobati, i numeri così potrà esserene anche critico, se lo desidera. Le sono arrivate due pagine di “Teatralfilosofia”, una recensione, una foto. In virtù della sua attenzione sarebbe stata per lei un’occasione per iniziare a scoprire il teatro partendo dal vertice mondiale. Invece ha preferito darsi lo spazio d’opinione piuttosto che lo spazio dello studio. Ma qui mi fermo, niente lezione, solo un’indicazione-invito per riconoscenza.
Serenella Marano
Per Mariano e Giovanni Prosperi Editori
PS – Anche chi ha firmato ha 54 anni, bizzarro eh! meglio sfiorire che mai sbocciare
Gentile Serenella,
ho letto il suo commento e quanto ci conferma privatamente nella casella email, annotando in ogni caso un po’ di confusione su alcune questioni che le vorrei suggerire. Ma vado come lei per punti. Almeno da essere opportunamente chiarificatori.
Prima inesattezza, lei dice: bene, mi scuso se ho usato nella fretta dell’email invertire le due vocali, spero tuttavia di essere giudicato per reati peggiori di questo, quando verrà il momento.
Ma a parte questo, mi preme puntualizzare che una recensione giunta dall’editore con la firma di un delegato dell’editore è come fare zero per zero ovverosia somma zero col resto di zero. Ma non perché non possa avere qualità, ci mancherebbe, bensì per il fatto a mio avviso determinante di mancare la missione principale che si fonda sull’autorevolezza e sulla libertà di scelta. Lei Serenella non può scegliere se scrivere o meno del suo stesso libro, tenderà a fare sempre e comunque un’apologia della sua pubblicazione e annullarne il risultato, scorporando la critica dal suo significato più puro che attiene alla libertà di espressione e di giudizio, esercitato il più possibile lontano dalle parti. E non vedo grandi opportunità nelle condizioni in cui si presenta, onestamente.
Quanto ai suoi esempi. Se l’auto-recensione è un gioco letterario che viene da lontano e può avere senso per una volontà mimetica che mescoli l’arte e la sua redenzione (chiameremmo recensione l’abiura che il Tasso scrisse di sé stesso per la Gerusalemme Liberata? Forse sì), questo non mi sento di poterlo asserire per la vostra avventura editoriale che non si presenta di certo con simili obiettivi. Se parlavo di “rottura di una frontiera” lo facevo con ogni probabilità scosso da quanto si andava verificando e che poi ha suggerito l’articolo.
Salto una riga. Anch’io. Stimando la frase di Simone Weil le presto attenzione e seguo oltre.
Scoprire il teatro e la sua magia, ma certo. Scoprire però anche quali trasformazioni sociali e culturali si annidano negli atti di chi abita questo ambiente. Se non per questo troverei insensato ascoltare reagire e ridire. Ossia fare il mio mestiere. Poi certo avrei potuto “partire dal vertice mondiale” e prendermi il vostro pacchetto completo e un po’ avventuriero. Non l’ho fatto e resto a far di conto col pallottoliere, disdegnando avveniristiche “frontiere” che non mi paiono aprirsi verso rosei orizzonti.
In conclusione: non mi sono permesso di parlare del libro perché non letto. Sarà di certo di notevole importanza, lo dico davvero, senza ironia. Io ho posto in discussione esclusivamente una modalità che trovo svilente per il mio mestiere e per chi ancora di esso si fida. Non capisco come faccia a non essere chiaro a chi sa di teatro, di filosofia e ha capacità di discernimento tali da trarne lampanti riflessioni, peccando invece di questa piccola ma rischiosa ingenuità.
I miei saluti
Simone Nebbia
Per me stesso, Teatro e Critica e chi ancora si permette di stupirsi, nel bene o nel male.
PS: la maturità è un dono da non dissipare, ma almeno i fiori hanno a discolpa di non aver scelto il banco di mercato in cui sfiorire…
Le sconsiglio di leggere “Teatralfilosofia”. Adesso so con certezza che non è roba per lei.
Finalmente. Un sentito grazie a Serenella Marano.
Che meraviglia la solidarietà alcune volte… certo, Antonella, visto il suo percorso al fianco di un famoso editore la questione capisco stimoli i suoi interessi, ma proprio per questo mi aspetterei un minimo di partecipazione che, se vuole dire qualcosa, almeno le permetta di argomentare e prendere una posizione. Altrimenti, oltre la solidarietà, non ci è dato apprezzare il suo parere e il suo commento accurato negli obiettivi lo è meno nel merito del discorso…
SN