HomeVISIONIRecensioniDalla parola alla drammaturgia: Call me God

Dalla parola alla drammaturgia: Call me God

foto ufficio Stampa

Una serie di omicidi, un invisibile cecchino che fa fuori le proprie prede con freddezza e senza scrupoli lasciando sotto scacco una vasta area compresa tra Maryland, Virginia e Washington D.C., sullo sfondo l’America ancora sotto shock per il Nine/Eleven, era il 2002 e durò 23 giorni. Una serie apparentemente interminabile di vittime: hanno il tempo di presentarsi, ma non il diritto di vivere in quanto personaggi, ognuna si porta dentro una storia, brevemente sintetizzata al pubblico prima che il proiettile colori di rosso sangue il fondale.

Non è la sinossi dell’ennesima serie Tv atterrata in Italia dagli studios hollywoodiani, bensì uno spettacolo – mai come in questo caso il termine è calzante – arrivato nella capitale per il Romaeuropa Festival, ma frutto di una serie di collaborazioni internazionali che dalla Germania di Marius von Mayenburg e Albert Ostermaier si irradiano fino all’Argentina di Rafael Spregelburd passando per quel territorio artisticamente fiorente che è Viterbo, dove opera Gian Maria Cervo, unico drammaturgo italiano nella lista: dalla sinergia tra Residenztheater di Monaco, Teatro di Roma, Festival Quartieri dell’Arte e Romaeuropa nasce Call me God.

“Chiamatemi Dio” sussurra al telefono il maniaco omicida, mentre alle autorità chiede un riscatto per porre fine agli omicidi. I quattro autori seguiti dal lavoro della dramaturg Laura Olivi, essenziale nel compito di amalgamare le quattro scritture preservando i differenti stili, hanno scelto un tema e affidato alla regia i propri testi. Il risultato è un riuscito esperimento di scrittura collettiva applicato alla scena, nel quale non c’è nessuna subalternità rispetto alla parola, che anzi è parte di un sistema complesso e stratificato di segni.

La scena del Teatro Argentina è occupata da una scenografia che ingegnosamente si fa interno ed esterno, grazie a una parete a vetri nascosta dietro a una tenda bianca. Sulla sinistra è incastonato quello che può sembrare un piccolo studio radiofonico, ma che poi si svelerà come simbolo dell’intero universo mass-mediatico, dietro il vetro dello schermo trasparente appaiono le notizie: i mezzi busti da telegiornale e i testimoni sempre pronti a fornire la propria versione della storia in cambio di un briciolo di fama. Quando la tenda apre lo sguardo sulla parete a vetri appare un inner stage algido e virtuale, spazio di passaggio e di morte nel quale vengono proiettate le immagini in diretta riprese da due videocamere manovrate ai lati.

Decine i personaggi, ma solo quattro gli attori, formidabili, è il caso di dirlo: Katrin Röver, Genija Rykova, Thomas Gräbble, Lukas Turtur, hanno una frazione di secondo per calarsi letteralmente nei panni di vittime, agenti della CIA, poliziotti, detective, dottori. Lavorano accennando dei bozzetti – come hanno poi spiegato durante l’incontro di Radio Tre “Appena fatto” moderato da Elena Stancanelli – senza avere la pretesa di diventare ogni singolo personaggio, ché non ne avrebbero neanche il tempo. Il pubblico partecipa a questo grande circo della rappresentazione, nel quale il bersaglio principale sono gli Stati Uniti della pena di morte, dell’amplificazione mediatica, del cinismo dell’informazione e dei soggetti che ci rimangono invischiati, dove ogni testimone del massacro, parente o conoscente della vittima può ribaltare la situazione a proprio favore giocandosi la carta del best-seller: un leitmotiv comicamente triste vede a ogni assassinio qualcuno che cerca di vendere al pubblico una copia del proprio libro.

Mayenburg ha scelto una forma aperta per lo spettacolo, mixando dibattito, talk show e rivista: la tradizione brechtiana è riconoscibile non solo negli slittamenti dati da canzoni e balletti, ma è parte della scrittura scenica, di uno sguardo registico che non cerca l’immedesimazione del pubblico, ma la partecipazione attiva. Al cinismo mediatico Call me God risponde con altrettanto cinismo, con una forma parodistica che ricompone la giusta distanza tra il reale e la sua ipermediazione.

Andrea Pocosgnich

Leggi tutti gli articoli sul Romaeuropa Festival 2012

visto al Teatro Argentina
Novembre 2012
Romaeuropa festival [programma]

CALL ME GOD
Autori Gian Maria Cervo, Marius von Mayenburg, Albert Ostermaier, Rafael Spregelburd
Regia Marius von Mayenburg
Scene e costumi Nina Wetzel
Musica Malte Beckenbach
Luci Uwe Grünewald
Drammaturgia Laura Olivi
Video Sebastien Dupouey
Tecnologia video Stefan Muhle
Suono Matthias Reisinger
Assistente alla regia Robert Gerloff
Assistente scenografo Bärbel Kober
Direttore di scena Johanna Scriba
Soufflage Angelika Ehrlich
Secondo assistente scenografo Maria Jose Gomez Espinosa
Traduzione e sovratitoli Monica Marotta (Kita)

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...