Sembra si siano scambiati i ruoli, queste due palermitane, Roberta Torre al teatro ed Emma Dante al cinema. In realtà palermitana lo è solo di adozione, per scelta o per vocazione, Roberta Torre, apprezzata regista cinematografica, in realtà milanese, da molti considerata creatrice di un nuovo linguaggio. Fin dai suoi esordi sceglie di dedicarsi alla Sicilia, ai suoi volti, alle sue storie, ai suoi miti, leggende e folgorazioni.
Dopo avere diretto Gli Uccelli, per la stagione dell’Inda a Siracusa, torna al teatro, e si dedica a Lunaria, romanzo sognante e poetico di Vincenzo Consolo, uno dei più grandi e rappresentativi autori siciliani, che però, guarda caso, aveva scelto di vivere a Milano, dove è recentemente scomparso. In questo gioco dei destini incrociati, lo spettacolo, prodotto da Palermo Teatro Festival, inserito nell’ambito della manifestazione Taormina Book Festival, sembra partire con il piede giusto.
Ad interpretare il viceré protagonista del romanzo, uomo stanco del potere che sogna la caduta della luna in una contrada di Sicilia, non è altri che Franco Scaldati, uno dei grandi del teatro siciliano, cantore, forse il più raffinato e insieme il più popolare, degli stregamenti lunari, delle sue infinite malie e fascinazioni. Da testi come quelli di Scaldati nasce il teatro contemporaneo siciliano, nel suo dialetto dalle sonorità cadenzate, dallo stralunato, stupefacente lirismo. Qua Scaldati prende le parole di Consolo, prestando a quella prosa dalla forte densità metaforica, dalla spudorata oltranza immaginativa, pulsante di echi, rimandi linguistici e scientifici, memorie, miti, visioni, la materia sonora e melodica del suo stile recitativo, una sinfonia trasognata di incantamenti, un dormiveglia in cui trascorre il senso della rivelazione, l’epifania di un mondo divaricato dalla metafisica meraviglia dell’artista.
Solo nella poesia sembra trovarsi lo spazio d’evasione privilegiato per cogliere il sortilegio della propria materia psichica. Nella massa corporea di Scaldati, nel suo estatico sostanziarsi in materia lunare, trasognando confini di terre e destini, si intravede la decadente figura di questo viceré, usurato dal governo, che strabuzza gli occhi reimmaginando i confini del mondo.
Il suo sonno letargico, abissale, è quello della ragione, sulla sua testa rimbalzano sospesi i simboli del potere, scettro e corona, come fantasmi emersi dalla sponda dell’incerto o dell’invisibile, mentre questo uomo intorpidito dal suo sogno, pare da esso stesso divorato,
Scaldati sembra emergere da un candido cratere, dissolto nella prepotenza di quel prodigio che ha annullato il confine tra ciò che ha sognato e la realtà. In questo rarefatto silenzio leopardiano, in questo cosmico smarrimento, o sconfinamento dei sensi e dell’intelletto, appaiono piccole, deliziose figurine: esserini che si arrabbattano cercando di darsi spiegazioni inutili, si scontrano con la realtà prosaica di un mondo alla rovescia, a dare il polso di una Palermo settecentesca, di una corte degradata, corrotta, insidiosa, avida. Superba è l’interpretazione di Melino Imparato, leggerissimo folletto, fosforico spiritello, corrosiva e snodata marionetta uscita quasi da un malinconico carillon. Di forte intensità anche l’interpretazione di Rocco Castrocielo ed Ersilia Severino, donna dalla vitalità sfrenata, trasbordante.
Fin qui tutto bene, e ci piacerebbe poter dire solo bene di questo incontro tra giganti siciliani, se si pensa che le musiche originali sono di Etta Scollo, straordinaria musicista siciliana, che le esegue dal vivo nello spettacolo, nate per volontà dello stesso Consolo, non del tutto sapientemente utilizzate. Cosa allora non ha funzionato nell’incontro tra la scrittura di Consolo, sotterranea, lussuosa, obliqua, vorticosa, labirintica, e la visionarietà dissacrante della Torre? Dall’uso scomposto di teli di plastica, a una riduzione che spegne l’istintuale forza del testo, a un dosaggio imperfetto di scene a canti, più utilizzati come siparietti che come momenti di forza narrativa, lo spettacolo risulta piatto, privo di tensione drammatica, privo insomma di quell’ingrediente indispensabile che fa dire di avere visto uno spettacolo pienamente riuscito. Sciogliendo in visione un testo narrativo, altamente poetico è vero, ma anche politico, civile nella sua indagine sul potere, impegnato in una denuncia corrosiva, la Torre ha restituito una versione pallida di quel testo, privo dell’incendio esplosivo che le parole di Consolo sono capaci di accendere.
Filippa Ilardo
visto il 28 Settembre 2012
Palazzo dei Congressi
Taormina Book Festival
Lunaria
di Vincenzo Consolo
adattamento teatrale e regia di Roberta Torre,
prodotto da Taormina Arte, in collaborazione con Palermo Teatro Festival e Scena aperta.
Con Franco Scaldati, Ersilia Severino, Rocco Castrocielo e Melino Imparato.
Musiche originali eseguite dal vivo di Etta Scollo, accompagnata dai musicisti: Fabio Tricomi (strumenti tradizionali e antichi) e Daniela Santamaura (violoncello).
Foto Giulio Azzarello