HomeVISIONIRecensioniNel fumo apocalittico: Welcome to my world di Enzo Cosimi

Nel fumo apocalittico: Welcome to my world di Enzo Cosimi

foto Ufficio Stampa

Quale scenario ci si potrebbe presentare all’avvento dell’Apocalisse? Quali immagini, quali suoni? Welcome to my world, il nuovo lavoro di Enzo Cosimi nato da una collaborazione con la Paolo Grassi di Milano e in scena al Teatro Vascello fino al 7 ottobre, è un paradossale invito in questa direzione, verso un mondo che sta finendo ma che non è ancora finito, che anzi è nel pieno del suo vibrante bisogno di esistenza.
In questa landa desolata, eterea, composta solo di suoni e vibrazioni, agiscono in scena quattro danzatori, due uomini e due donne, ormai disumanizzati nei movimenti, indistinti nelle loro identità di genere – uguali nel torso nudo, nell’aderente pantalone e nei neri marchi su naso, piedi, mani e braccia, oscuri segni d’appartenenza. Punto di partenza di quest’opera a quadri è un lavoro percettivo sulle vibrazioni e, a livello d’immaginario, sull’ipotesi di come l’emanazione di queste potrebbe essere testimonianza e avvertimento di un’imminente fine. Nelle intenzioni l’obiettivo risulta essere osservare come tale propagazione di onde possa condurre il corpo in scena, spaziando dal coro di voci iniziali sussurrate dagli stessi danzatori, come in ricordo di una religiosità perduta, alle modulazioni di suoni bellici, rivelati nel corpo in movenze epilettiche come sotto una luce stroboscopica; dalla violenza acustica di suoni elettronici, provocatori e coinvolgenti loro malgrado anche noi spettatori, alla silente vibrazione muscolare ottenuta da un’estrema contrazione degli arti dei danzatori.
I quattro viaggiatori si muovono quasi come automi in un’atmosfera rarefatta, ben testimoniata più da una potente qualità gestuale volutamente contratta e affaticata che dai costanti effetti speciali, scenografici ma in fin dei conti superflui. Testimoni di questo viaggio verso l’ignoto, i loro corpi vengono attraversati da diverse trasformazioni di stato: dall’ingenua sensualità di un gesto innocuo si arriva alla mostruosità animalesca, in una sequenza operata da uno – la giovane  Alice Raffaelli – e ripetuta da altri, segnale di un’ineluttabile sorte comune. Vittime di una forza esterna – del dio o del regista? – che sembra muovere i loro corpi al di la della volontà, le loro azioni, nonostante la reiterazione, acquisiscono un carattere imprevedibile, inconsulto, perfino epilettico. Contrariamente a ciò, nel momento centrale di tutta l’opera i loro movimenti si fanno rallentati, stilizzati, in un avviluppamento di corpi che rimandano esplicitamente all’atto sessuale e tuttavia vuoto, nel quale anche la violenza viene sublimata nel rovescio neanche poi tanto simbolico di una bottiglia di latte al culmine della tenzone.

foto Ufficio Stampa

Il gesto non è che un’eco e, in accordo con quell’estetica classica secondo cui l’azione tragica viene compiuta fuori scena, noi non assistiamo al versamento di sangue, che pur appare sul corpo di uno dei danzatori, Francesco Marilungo; egli si mostra a noi ad atto avvenuto, isolando in tal modo l’accadimento e rendendolo meno potente rispetto, ad esempio, a una delle scene iniziali, in cui Paola Lattanzi, storica performer della compagnia di Cosimi, a occhi chiusi viene investita da una pioggia vorticosa di nastri lucenti e argentatati lanciatile dal giovane Riccardo Olivier attraverso un ventilatore. In un’alternanza di momenti frenetici o controllati, i quattro performer ci conducono in una sorta di viaggio circolare, dove, alla fine di tutto, nonostante i vari terremoti sonori, nonostante i riti di morte in cui ciascuno potenzialmente rappresenta la vittima designata, nonostante le immagini di naufragio che richiamano direttamente il Géricault de La Zattera della Medusa, approdano ad una terra e come svegliatisi da un lungo torpore, risuona per la prima ed unica volta una melodia dal sapore quasi nostalgico.

Vorrebbe tutto ciò instillare un potente messaggio di speranza; eppure, sebbene colpiti, la sensazione finale risulta manchevole; come se la forma, tanto chiaramente delineata nelle linee dei movimenti delle immagini e dei suoni, non fosse sufficiente a dare la vita a questi viandanti – automi, sperduti ed esposti, che offrono loro stessi ad uno sguardo che pretende di più di una bella composizione. Frontali, come a voler chiedere un applauso, i danzatori rimangono immobili, gli spettatori vagamente perplessi, depistati; lo spettacolo continua ancora, ma nella mente ciò che rimane più impresso, al di là di qualsiasi apocalisse, è il muto dramma di uno sguardo umano, imprigionato all’interno di un disegno che rischia di non riuscire ad attraversare la coltre di fumo da esso generato.

Viviana Raciti

visto al Teatro Vascello di Roma
vai al cartellone 2012/2013

COMPAGNIA ENZO COSIMI
WELCOME TO MY WORLD

Regia, coreografia Enzo Cosimi
Interpreti Paola Lattanzi, Alice Raffaelli, Francesco Marilungo, Riccardo Olivier
Costumi, make up a cura di Enzo Cosimi
Rubber mask Cristian Dorigatti
Disegno sonoro a cura di Enzo Cosimi
Musiche Chris Watson, John Duncan, Pansonic, Brian Eno
Disegno luci Stefano Pirandello

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

2 COMMENTS

  1. Viviana Raciti ha invertito i nomi dei performers maschili: Olivier lancia i nastri argentati, Marilungo appare con il sangue.

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