HomeVISIONIRecensioniL'Utopia di Leo Bassi: mal-trattato di retorica

L’Utopia di Leo Bassi: mal-trattato di retorica

Foto di Martha Baggetta

Leo Bassi è un clown. Lo è come lo sono i clown: a vita e per l’intera vita. Leo Bassi è un comico giramondo, la sua missione è quella di irridere il potere, mettere in crisi i sistemi che governano il mondo e farsi beffa della loro sicurezza di conduzione: che si tratti di politici o banchieri in loro funzione, la sua missione è distruggerli facendo ridere di loro, ridicolizzarli con la violenza che è di ogni buffone. Beppe Grillo è un comico italiano che qualche anno fa ha scelto di convogliare le energie con cui vessava il potere in un movimento politico oggi arrivato a guidare un’amministrazione cittadina e a sfidare i partiti tradizionali per le prossime elezioni nazionali. Leo Bassi irride Beppe Grillo (forse banalmente perché ora rappresentante del potere), sul palco di Short Theatre 7 a Roma dove presente la sua Utopia. Ma tra di loro qual’è la differenza?

Bassi entra in scena vestito in abito da manager, occhiali scuri e bastone da cieco; cerca il pubblico di fronte a sé, cerca un contatto ad innescarlo tramite il gioco dell’illusione che è relazione di vedere e non vedere. In una busta di carta stropicciata c’è il microfono con cui iniziare il suo monologo. Dirà di banchieri padroni del mondo, li coprirà di tutti i desideri più nascosti d’annientamento, un terrorismo recondito che furoreggia negli animi della vendetta solitaria e – appunto – cieca; li cospargerà di una colata d’uovo, frantumerà le loro Lamborghini, minaccerà di abbatterli a colpi di golf, tramite un perverso gioco voodoo cercherà la sua vendetta notturna per i soprusi del primo mondo su tutti quelli che – non seguono ma – ad esso sottostanno. Una telecamera, manovrata da un tecnico ausiliario che entra ed esce di scena, riprende ogni cosa ingrandendo i modellini sullo schermo, farà per illusione il crimine più grande, vestirà di gigantismo una vendetta invece sempre minuta.

Foto di Martha Baggetta

«scherzo. Ma la voglia no. E un giorno lo farò». Così Leo Bassi – in una scena con due cactus bianchi gonfiabili che si colorano di luce – definisce il suo gesto. Ma la messa in scena – e dunque in crisi – della retorica non ha la forza per non diventare retorica essa stessa. Il recital ha un ritmo volutamente lento e guizza di alcune fiammate, ma nel complesso non punge e si articola lungo trovate drammaturgiche di non particolare efficacia e scarsa continuità. Va meglio quando Bassi cala nell’autobiografia per dichiarare la sua discendenza clownesca (dal nonno clown nella prima guerra mondiale) e si trucca in scena da “clown bianco” sulle note del Vissi d’arte declamato dalla Tosca di Puccini, ma è sempre sul crinale del patetismo didascalico e non incide come vorrebbe, risolvendo soltanto con la levità e l’esperienza uno spettacolo tutto sommato debole.

Ma la debolezza non è un pericolo. Diverso il discorso sui contenuti e la modalità della proposta. La perdita di valori e la conseguente volgarizzazione del dibattito politico a urla da bar, spinta al movimento d’origine addominale e non cerebrale, indignazione perenne e distruttiva di qualità cinque stelle, più che concedere rappresentanza ai cittadini delusi ha dato residenza ai residui autoritari della loro delusione, conformando a loro immagine una proposta non mediata da un confronto ragionato: per questo si parla di antipolitica. Questo spettacolo – che alla vista di due banchieri che si stringono la mano dichiara: «uno è Mario Monti, l’altro non lo so ma sicuramente è un pezzo di merda», che si chiude con la bandiera rossa e il pugno alzato e insieme la bandiera multicolore della pace (prima di decretare fede a un papero giallo gigante) – finisce per essere parte del processo che ha avvilito la discussione politica illanguidendo il suo segno di conflitto buono, di evoluzione culturale, dunque distrugge ma fuori tempo massimo: questa è epoca di ricostruzione, perché troppo abbiamo distrutto. Tutto vero il suo enunciato, non possiamo non essere d’accordo e aderire. Ma la sua dichiarazione scenica è tutt’altro che propositiva. Per esserlo avrebbe dovuto fare politica. Appunto.

Simone Nebbia

visto al Teatro India
Short Theatre 2012

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Utopia
di e con Leo Bassi

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