“Fate in modo che ci sia amore” nella vostra vita. Sembra essere questo l’invito e l’esortazione dello spettacolo “Let there be love” dell’autore ganese Kwame Kwei-Armah, presentato dalla compagnia Teatro Minimo al Festival Castel dei Mondi. La compagnia che proprio ad Andria ha mosso i suoi primi passi nel 2001 e lavora prevalentemente con attori del territorio, in questa occasione si è affidato alla regia di Vittorio Continelli, con l’interpretazione di Nicola Conversano, Simonetta Damato e Patrizia Labianca. Un debutto nazionale per uno spettacolo che nasce sul testo dell’autore 45enne di origini ghanesi, figura chiave del teatro britannico e promotore del dialogo interculturale, che senza mezzi termini mostra la cruda realtà di una famiglia disgregata e sembra chiederci e proporci il momento migliore per prendere le decisioni importanti.
Da Grenada (Caraibi) Alfred emigra negli anni ’60 per raggiungere Londra, qui si fa una famiglia e cresce da solo due figlie dopo che sua moglie li ha abbandonati per tornare ai Caraibi. Nella convincente interpretazione anche se non sempre priva di esitazioni di Nicola Conversano, troviamo Alfred in casa, sessantenne, malato, in costante conflitto con la figlia Gemma (Patrizia Labianca, intensa nella sua interpretazione), unica a cercare ancora un rapporto paterno. Un uomo testardo e ottuso nel suo rifiuto di qualsiasi tipo di aiuto e compagnia. L’incontro con Maria, una giovane cameriera polacca, da poco giunta in Inghilterra, di cui veste perfettamente i panni Simonetta Damato, innesta un cambiamento. Si insatura un legame nuovo e una reciproca educazione alla vita. Il motivo del loro incontro d’anime è Lillie, un grammofono impolverato e inutilizzato che torna a suonare la musica di Nat King Cole, artista preferito di Alfred e colonna sonora dell’intero spettacolo. E proprio dal grammofono non viene fuori solo musica, ma vengono amplificati i sentimenti, ne scaturiscono i racconti di vita di Alfred e la vitalità di Maria.
Un testo denso, complesso, attuale ma non scontato, per il quale sulla scena non servono altro che una poltrona, un divano, un tavolino e il grammofono Lillie. Niente effetti speciali, trucchi e cambiamenti d’abito per narrare l’evoluzione temporale e fisica dei protagonisti, solo luci che si spengono tra un cambio di scena e l’altro e si attenuano o si diffondono a palesare l’emozione del momento. La vicenda di Alfred del resto ci è familiare e potrebbe facilmente rimandare alla storia di uno qualsiasi degli anziani o malati che oggi vengono accuditi da persone a loro estranee, ognuna delle quali ha una propria storia da raccontare. Proprio per questo i livelli di lettura diventano molteplici e i significati si infittiscono. La storia di Alfred si sovrappone e si alterna alla storia di Maria, in alcuni punti diventano l’una il complemento dell’altra. La violenza, le difficoltà e il pregiudizio, si confondono e si trasformano in una storia di incontro e accoglienza. Un tentativo di riscatto e accettazione è ciò che tutti cercano ed è più facile riscattarsi con qualcuno con cui non si hanno legami di sangue, piuttosto che farlo con chi direttamente è causa e oggetto del nostro rancore o affetto.
Un teatro di parola dunque, in cui il testo tiene nonostante i diversi cambi di scena che allentano la tensione senza però sacrificare la sequenzialità del racconto. Una prova non semplice ma riuscita quella del Teatro Minimo di dare alla parola stessa il compito di raccontare l’incomunicabilità che caratterizza i rapporti, lo scontro generazionale e le difficoltà di amare ed essere accettati. Unico dato resta al termine della storia: è necessario il ritorno alle origini, in quel punto cruciale della nostra vita in cui un errore ci è costato una perdita e dal quale possiamo ritrovare la lucidità necessaria per ricominciare.
Luana Poli