Della gravità: la vita tra il peso e le mani
Ci vogliono mani dello stesso marmo, per trasportare due lastre e penetrare una città. Cinque uomini e le braccia tese, con un viso neutro senza espressione, attraversano con un’opera le strade dove operano i cittadini ignari, declamano in silenzio il peso connaturato all’uomo in viaggio, all’uomo che semplicemente vive. Una staffetta senza clamori, senza fiaccole o notizie di guerra, ha più a che vedere con la sottile esistenza clandestina di una bottiglia che galleggia le acque dei tempi e degli spazi interminati, compitando in sé l’eredità imprevista di un messaggio minuto. Ci vuole serietà per trasportare questo peso, dieci chilogrammi per marmo, uno spazio per le mani che non basta a non sentirlo scivolare, ma bisogna tenerlo, bisogna farsi coscienza di un trasporto che siamo noi attraverso il mondo. In queste lastre e nel puntiglio dell’uso c’è l’opera di Italo Zuffi, artista imolese che ha assoldato i cinque schierati in un lento cammino della gravità, fino a raggiungere l’Ex-Deposito ATR di Forlì e lasciare l’opera nell’operoso capannone in cui si anima un festival come Ipercorpo, in cui vibra l’energia – riunita in convegno – del lavoro culturale.
Ci vogliono mani sapienti capaci di plasmare e sgrossare, tenersi e lasciar andare, perché sia dolce condurre ciò che sfugge e si trasforma, trasformando anche noi nella fatica di inventare di continuo un nuovo senso di relazione. Ci vuole coraggio e saggezza, perché ci si possa permettere la vertigine di una storia d’amore. Con le stesse mani un giocatore di basket accarezza e tiene a sé la palla che ama, ogni movimento lo fa sudare ma conquista il suo governo e si rinnova; attraversa il silenzio An afternoon love di Pathosformel, misura la sala di rimbalzi e passi interrotti per redimerli e assecondarli insieme, convogliare l’energia per la missione umana di abitare legami con serietà e passione. Calibrare il peso delle mani, con la leggerezza di una palla che rimbalza. E che si afferra, per il tempo che basta a doverla di nuovo riconquistare.
Simone Nebbia
Dal lavoro nei campi all’Articolo 1
Cantano del lavoro nei campi, di quando stavano con i piedi scalzi in mezzo al fango per otto ore al giorno e per pranzo e cena mangiavano riso e fagioli, fagioli e riso; giornate che si concludevano alle 10 di sera rigorosamente a letto, neanche fossero in prigione.
Le mondine di Porporana hanno gli occhi lucidi, fieri e pieni di orgoglio, di chi ha vissuto molto e vuole raccontare la propria fatica, affinché il passato non si perda. Le otto donne col cappello di paglia legato al collo riempiono l’Ex-Deposito ATR di Forlì con le loro melodie, dedicate al lavoro agricolo e al tempo passato in risaia; tutti si fermano ad ascoltarle, in devoto silenzio, come volessero trattenere ogni loro sillaba, in un religioso rispetto verso chi ha lottato per i propri diritti, scioperando e rischiando, passando un’intera vita con la schiena piegata sulle risaie e i piedi gonfi.
Dopo aver intonato diversi canti le donne si fermano, tentando di guardare negli occhi, uno per uno, gli spettatori: ci si commuove ed entusiasma a vicenda, imbattendosi in sguardi così intensi da riuscire a comunicare senza bisogno di parole o di spiegazioni ulteriori. Le mondine ringraziano il pubblico definendolo «fantastico, perché composto da giovani in ascolto, interessati a quelle loro storie legate a un mondo che non c’è più». Storie di ieri che si riflettono però in una quotidianità, creando una forte empatia quando le mondine intonano il canto sulle morti bianche o sull’emigrazione verso le Americhe: cinquant’anni fa, come oggi. E uno dei versi che più rimane impresso nella memoria canta di una «libertà» che «può nascere solo dall’unità». Oggi, come ieri.
Dopo un’intera giornata passata a una tavola rotonda, dove il lavoro artistico cercava di definire se stesso in quanto tale, il Festival che quest’anno Città di Ebla ha dedicato all’Articolo 1 ha trovato nelle Mondine venute da Porporana e nella loro dignità tutto il suo motivo di esistere.
Carlotta Tringali
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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Il Tamburo di Kattrin