Quest’anno Teatro e Critica stringe una partnership con il festival Short Theatre 7 di Roma, giunto alla settima edizione e quest’anno al Teatro India dal 5 all’8 e allo spazio Pelanda del Macro di Testaccio dall’11 al 15 settembre. La nostra rivista si occuperà di condurre un laboratorio di critica teatrale che attraverserà il festival in sette appuntamenti.
Seguendo le logiche di redazione ed esplorando forme e linguaggi della scena e della critica di oggi, verrà formato un gruppo di lavoro che seguirà l’intero festival pubblicando articoli, recensioni, interviste e approfondimenti.
Parte del laboratorio sarà legata alla fotografia di scena con la presenza della fotografa di Teatro e Critica Futura Tittaferrante*
LA PARTECIPAZIONE AL LABORATORIO, RISERVATO A UN MASSIMO DI 10 PARTECIPANTI, È GRATUITA.
Per iscriversi e avere maggiori informazioni inviare una mail con oggetto “Teatro e Critica Lab” all’indirizzo redazione@teatroecritica.net, indicando nome e cognome.
Per far parte della redazione occorre seguire la programmazione del festival o parte di essa.
Biglietti: singolo spettacolo 7 euro – tessera giornaliera 15 euro
CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI:
MARTEDÌ 4 ore 19: “Una birra con Teatro e Critica”, evento/incontro informale di presentazione
MERCOLEDÌ 5 ore 15-18
GIOVEDÌ 6 ore 14,30-18,30 (6-7-8 settembre sarà presente Futura Tittaferrante)
SABATO 8 ore 14,30-18,30
MARTEDÌ 11 ore 14-18
GIOVEDÌ 13 ore 14-18
VENERDÌ 14 ore 14-17,30
SABATO 15 ore 10,30
I contenuti prodotti dai partecipanti saranno pubblicati su teatroecriticalab.wordpress.com
*Fotografare il teatro. A cura di Futura Tittaferrante
Fotografare il teatro per abbattere la prigionia dell’inquadratura. Per sondare i limiti e la malleabilità del suo perimetro. Per scoprirne le potenzialità, rivelare quei limiti quali non sono, ovvero come delle aperture. Poiché in quell’area fittizia e a un tempo materica si racchiudono delle domande capaci di svelare azioni concrete, esperite: come si guarda, come si avvicina, come si ferma?
La fotografia di teatro è l’immagine di un’immagine, non lo si può negare. In questa direzione fotografare equivale a sezionare la trasformazione, testimoniandola come l’indirizzamento dello sguardo ai fini della sua sensibilizzazione.
Ho sempre avuto fiducia nella possibilità che il messaggio convogliato nella fotografia, rinunciando ad ogni mera pretesa di documentazione e facendo perno sulle potenzialità dell’alterità del proprio linguaggio, possa diventare in grado di suggerire una visione autonoma ed altra dello spettacolo. Questo itinerario vissuto nella sua alterità si è rivelato esperienza non solo del vedere, ma anche del “patire” l’immagine. Tenendo sospeso il pesante obiettivo fotografico si preme sull’immagine, la si segue nel suo smodato adattamento allo spazio tridimensionale in cui si muove, si insiste sulle cose. Fino a coglierne l’inquieto apparire. Questo forse perché alla fine dei conti la photo-graphia non resta altro che un modo di rapportarsi e relazionarsi col mondo. E in questa relazione l’impronta del fotografo torna protagonista, in continuo bilico sul filo sospeso dell’armonia tra interno ed esterno, tra l’interiorità del fotografo ed il mondo al di là del diaframma, fino a dimenticarsi un po’ di se stessi per porre attenzione alle delicatezze che devono essere proprie di questo mestiere: pochi scatti subordinati ai rumori di scena, asservimento alla poca luce, rispetto per l’opera e la platea.