Punta Corsara sembra un nome di battaglia, e forse lo è, di quelli che mostrano il filo della lama in grado di colpire se e quando ce ne sia bisogno, una lama corsara che rifiuta la pirateria, combattente secondo un disegno ordinato e civile e non per il solo tornaconto di pochi assaltatori dei mari. Punta Corsara è un progetto teatrale e sociale che nasce nel 2007 con un lavoro laboratoriale (Arrevuoto) di Marco Martinelli e che, grazie all’aiuto continuativo di Debora Pietrobono, nel 2010 si afferma come associazione culturale indipendente, diretta da chi nel progetto è cresciuto come Emanuele Valenti (regista) e Marina Dammacco, giungendo nel 2011 a condurre Capusutta, un nuovo progetto di laboratorio insieme ancora al Teatro delle Albe a Lamezia Terme. Questo percorso puntualizza con estrema precisione un dato evidente: in soli quattro anni quello che pareva essere nel migliore dei casi un progetto di bonifica culturale di una zona degradata si è invece trasformato in un solido processo di crescita e affermazione professionale, fino al capovolgimento dei ruoli (Arrevuoto, Capusutta, appunto) che vede i vecchi adolescenti di una periferia campana, coinvolti in un’avventura di formazione artistica, diventare loro stessi elemento reagente di una nuova avventura.
Ma non è solo questa la loro maturazione. Anche in ambito artistico la crescita è stata formidabile, affinandosi per la coscienza del proprio fare e dei processi attorno: già dal loro Molière – Il signor de Pourceaugnac – si intuiva un talento effettivo di visione in grado di leggere e poi rileggere l’opera del commediografo francese, conservando nella farsa quella vena di irridente violenza che spesso si tende a tradire, ma anche confrontando la farsa stessa con i materiali di Commedia dell’Arte cui lo stesso Molière faceva riferimento. Da quando esiste la compagnia ha dovuto fare i conti con i discorsi della politica e con la sua retorica sulle aree periferiche: come non farne uno spettacolo? Ed ecco Il Convegno, una drammaturgia collettiva che con spirito e leggerezza irriverente affonda nei meccanismi del potere. Ma questo gusto della commistione (che è studio critico, analitico e poi progetto artistico) e questa dedizione alla farsa come espressione limpida del mondo contemporaneo proprio ora acquisiscono i gradi di un progetto di più ampio respiro: Petitoblok, intenzionato a coinvolgere lo storico attore (è dire poco…) napoletano Antonio Petito e il poeta simbolista russo Aleksander Blok, in un incontro capace di riunire assieme due tradizioni diversissime sperimentando la relazione del loro segno intimo.
Petito è stato uno dei più grandi interpreti di Pulcinella, la maschera napoletana per eccellenza, mentre Blok, poeta e drammaturgo, è qui simbolo di quell’idea di teatro che oggi con leggerezza chiameremmo “accademica”, ma anche autore di un’opera come Balagancik – Il baraccone dei saltimbanchi, messo in scena da Mejerchol’d. Due visioni, dunque, che paiono antitetiche e contrastanti. Ma se dall’una e l’altra cerchiamo di tracciare una linea – ovvero la drammaturgia composta da Antonio Calone –, lungo di essa potremmo trovare interessanti spunti di relazione. Pulcinella e Felice Sciosciammocca (altra maschera celebre e rappresentativa) si trovano insieme a fuggire la Morte che vorrebbe impiccarli e privare così le marionette della maschera, del capo che pende da quel filo che intenderà strangolarli; sulla loro strada si pone Ciarlatano, un ex commediante in esilio a San Pietroburgo, di “lontana” origine napoletana e che riunisce in sé le convinzioni fondanti del teatro russo, deciso a eliminarli per imporre
all’evoluzione del teatro la nuova perfetta marionetta meccanica, Colombina, di una bellezza che toglie il fiato, ma senz’anima e sentimenti.
Spettacolo importante per altezza di obiettivi e per interesse culturale, si misura con questioni su cui è bene porre attenzione: nella asportazione della maschera dialettale dalla storia del teatro è evidente un nuovo cedimento alla farsa, che si impone per le stesse colpe che la condannavano, come una risposta esplicita e vitale – attraverso un grande atto d’amore – all’affermazione del Ciarlatano che “tutto è finzione”, aggiungendo che se l’illusione si fa teatro alla finzione se ne moltiplica un’altra, e allora diventa verità. Tra semplici pali come delimitazioni modulari dello spazio, entra un sipario a fondo scena al fine di raggirare le marionette e prenderle in gabbia, ma quando il burattinaio chiuderà il sipario la sua verità non avrà superato la finzione, se ne è dovuto servire per renderla tale e proprio per questo ne uscirà sconfitto. Fuggono dalla farsa, tornando ad essa, dunque. Ma tornano rinnovati di un viaggio che ha saputo arricchirli, facendoli coscienti senza perdere di energia e desiderio, lasciando per noi il chiaro insegnamento che, quando i luoghi dell’arte si fanno luoghi dell’anima, il teatro dimentica la tecnica e si fa irriducibile, pura vita.
Simone Nebbia
Visto a Inequilibrio in luglio 2012
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PETITOBLOK
Il baraccone della morte ciarlatana
liberamente ispirato alle opere di Antonio Petito e Aleksandr Blok
drammaturgia Antonio Calone
regia Emanuele Valenti
con Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Giovanni Vastarella
costumi | Daniela Salernitano
spazio scenico| Emanuele Valenti, Daniela Salernitano
maschera di Pulcinella| Marialaura Buonocore
disegno luci | Antonio Gatto
aiuto regia | Antonio Calone
organizzazione| Marina Dammacco, Rosario Capasso
produzione| Punta Corsara | 369gradi | Armunia/Festival Inequilibrio