«Il dito grosso deve far da dito grosso e il dito piccolo deve far da dito piccolo. Noi siamo il dito grosso». Su uno degli striscioni, davanti cui decine di lavoratori e dipendenti del Teatro Stabile di Catania si sono riuniti in questi giorni di un caldissimo luglio per dare voce alla protesta contro i tagli operati dall’Assemblea Regionale, si legge proprio questa frase, tratta da Giovanni Verga e applicata tout court a un’istituzione pubblica che, è il caso di dire, la fa da padrone nella gestione dei fondi che lo Stato indirizza alle attività teatrali. Accettiamo la sfida di questa frase per capire meglio come lo Stabile del capoluogo etneo interpreta il ruolo di “teatro pubblico”, di “dito grosso”, quale filosofia e progetto culturale lo sostengano. Certo è che tra gli Stabili siciliani, toccati dai pesanti tagli ai fondi loro destinati, quello catanese è sicuramente il più penalizzato da una decurtazione del 34% a dispetto del 20% degli enti palermitani e messinesi. A mettere a rischio la propria occupazione sono in particolare i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, sia i precari che operano senza tutele sociali (circa 57) che gli attori (circa 100). Ed è proprio sugli attori, che vedranno ridursi il cachet, e sulle compagnie ospiti della prossima rassegna che si riverseranno i tagli operati. Altre riduzioni riguarderanno le produzioni, solo due previste, a fronte delle sei della passata stagione.
Nel frattempo è stata già presentata la stagione invernale dal direttore Giuseppe Dipasquale, che ha illustrato alla stampa un cartellone improntato all’arte comica e alla commedia. Avendolo incontrato proprio in prima linea, durante le giornate di protesta davanti al teatro Verga, gli rivolgiamo delle domande:
Direttore Di Pasquale, attraverso questi tagli si è messo in discussione il ruolo stesso del Teatro Stabile che dovrebbe essere di salvaguardia dell’identità sociale e culturale, ma un ente pubblico ha anche una forte responsabilità nei confronti della comunità in cui opera di mettere in atto dei progetti che siano anche di crescita sociale e civile. Alla luce della stagione appena presentata la domanda è: la comicità, che sarà il tema attorno cui si snoda la rassegna, è in grado di soddisfare il bisogno artistico della città? In altre parole, la comicità è una scelta culturale o piuttosto una scelta di marketing?
È l’uno e l’altro, non dimentichiamo che si tratta di una peculiarità antropologica, prima ancora che artistica, un’eredità artistica che lo Stabile raccoglie da parte di grandi autori che hanno definito le linee di un’identità che ci appartiene e che ancora necessita di essere indagata. Mi riferisco ad autori come Nino Martoglio, che hanno lasciato un forte peso sulla cultura isolana. Del resto la comicità non sempre è sinonimo di leggerezza, è un filtro tagliente attraverso cui leggere la realtà, un’ottica tagliente che fa da contrappeso alla crisi etica e morale della nostra società. Questo teatro è il cuore pulsante di questa città, insiste su questo genere perché vi ritrova rispecchiata la propria sostanza antropologica, così come è stata definita dai grandi autori del passato e del presente.
Non è un po’ datatao questo insistere su certi autori come ad esempio Martoglio? Non si corre il rischio di rinchiudere la città dentro un cliché localistico, difficile poi da eliminare? Come mai a Catania, a differenza che in altre città siciliane, non si dà spazio alla nuova drammaturgia, in un momento in cui gli autori siciliani vengono apprezzati in tutto il mondo, soprattutto in Francia? Mi riferisco ad autori come Spiro Scimone, Tino Caspanello, Mimmo Cuticchio, Emma Dante, autori da anni assenti dalla programmazione del Teatro Stabile?
Lo spazio destinato alla nuova drammaturgia siciliana è principalmente dedicato a Vincenzo Pirrotta, autore straordinario cui è stato dedicata una rassegna nell’ambito di TE.st, manifestazione dedicata al teatro contemporaneo, così come ampio spazio è stato dedicato a Roberto Zappalà, coreografo di grandi qualità artistiche, riconosciuto ed apprezzato a livello internazionale. Del resto il bilancio della passata edizione della rassegna è più che positivo, il gusto del pubblico varia, vuole scegliere, non vuole essere più legato ad abbonamenti fissi, ma preferisce costruirsi una stagione su misura. I numeri delle presenze hanno premiato spettacoli come La mennulara di Simonetta Agnello Hornby, che ha inaugurato la stagione. Del resto le scelte del cartellone di quest’anno presentano autori come Arthur Miller, Bertolt Brecht, le cui commedie sono dei classici senza tempo, in grado di parlare al mondo contemporaneo anche se attraverso la commedia; si tratta di testi in cui è insito il tema della denuncia sociale e civile.
Anni fa la programmazione dello Stabile prevedeva un cartellone separato da quello ufficiale in cui si aveva la possibilità di assistere a spettacoli di teatro contemporaneo anche di compagnie straniere, mi riferisco ad autori come Peter Brook, solo per citarne uno. Negli ultimi anni la programmazione è diventata sempre più localistica. Non crede che il ruolo di uno Stabile sia anche quello di offrire un maggiore collegamento con un certo tipo di teatro, in una Sicilia in cui sono davvero pochi i festival e le rassegne?
Ultimamente sono stati ospiti dello Stabile autori come Saverio La Ruina, Antonio Latella e molti altri. Le dirò invece che le rassegne di teatro contemporaneo non è che poi fossero così seguite. Forse la nostra città si rivede di più nel genere della commedia, che riesce maggiormente a interpretare un gusto, a intercettare un pubblico di riferimento. Comunque si sta ipotizzando la possibilità di novità che potranno soddisfare diverse esigenze, anche quella del teatro contemporaneo.
Filippa Ilardo