«Noi siamo in un sogno dentro un sogno». Una delle frasi più ermetiche eppure più rivelatrici, la chiave d’accesso a tanta poesia, a tanta filosofia. In fondo la dimostrazione che quasi sempre la verità è in un paradosso. Che cosa sono le nuvole? è il titolo del cortometraggio del 1967 (qui in versione integrale, inserito nel film a episodi Capriccio all’italiana) in cui, attraverso una piccola e adorabile parodia del dramma di Otello, Pasolini metteva in scena la magia del teatro, un luogo dell’anima popolato di figure grottesche, perse in un limbo narrativo che sfilacciava le trame della tragedia e le impregnava di significati altri, più ampi, più assoluti, più ultimi. C’erano tutti, da Totò a Ninetto Davoli, da Laura Betti a Franco e Ciccio, come in un testamento ideale dell’immaginario pasoliniano tenuto insieme da vincoli pre-logici, salti vertiginosi su punte di ragionamento che, sotto una maschera di colore quasi felliniana, non nascondevano certa crudezza e frontalità propria dell’opera del Pasolini degli anni Settanta.
A partire da quegli onirici venti minuti filmati quarantacinque anni fa e dalla domanda che faceva loro da titolo, Maurizio Lupinelli debutta a Inequilibrio 2012 con il nuovo lavoro del suo Nerval Teatro, qui in collaborazione con Opera. Si riempie in fretta lo splendido anfiteatro perso tra le fronte del parco del Castello Pasquini a Castiglioncello. La larga tenda rossa sospesa da funi aggrappate ai rami sembra un sipario, ma è invece un fondale; la buca dell’orchestra è occupata dal palco di legno, che mangia i primi gradoni cancellando virtualmente lo spazio tra pubblico e attori. E allora divisione non ve n’è più. E qui sta il primo segno di quel teatro arrabbiato e sempre “contro” che fa di Lupinelli un artista unico: frontalità e inclusione fusi in un’armonia misteriosa.
Gli attori (in calce il loro elenco, che andrebbe scorso con uniforme ammirazione) li abbiamo visti in altre tappe del percorso con cui Nerval, si direbbe, sradica la distanza che passa tra normalità e devianza. Le abilità portate in scena non contemplano “diverse” come appellativo, invadono lo spazio con il coraggio dei “vivi nonostante tutto”. La vicenda di Otello, Iago e Desdemona sta alla linea narrativa di questo spettacolo come l’olio alle giunture di un grande ingranaggio, di cui stupisce soprattutto il ritmo. E una formula del tutto nuova, che ne fa uno spettacolo doppio. Si può infatti assistere a ciò che accade in scena; se però ci si volta a guardare da sopra la spalla, in regia è in corso un altra performance: Vincenzo Schino manovra le musiche, che accompagnano l’azione in modo quasi continuo, mentre Lupinelli stesso dirige mirabilmente l’orchestra di corpi che parla e si muove sul palco.
Il film di Pasolini è girato in uno squallido teatrino popolare e gli attori, con funi a vista legate ai polsi e al collo, erano tutti “manovrati” da un burattinaio che agiva dal soffitto e che, a volte, interagiva con loro. Quella stessa lieve scintilla didascalica Lupinelli riprende qui con sorprendente poesia ed equilibrio, creando da un lato una profondità d’azione ulteriore, dall’altro insistendo su quel discorso – antico quanto la tragedia greca – intorno al destino e al modo in cui le anime ne vengono investite. Allora il mescolarsi caotico e irresistibile tra Shakespeare, dramma popolare e clownerie spicca un salto oltre il semplice omaggio a Pasolini, incontra invece un profondo ragionamento sulla casualità e sul mistero, interroga il vivere quotidiano stretto dalle spire di una società ancora cieca, di fronte a una normalità convenzionata.
Ed è così che l’universo della rappresentazione si capovolge: al suono di quella musica come di cose estinte e nella forma di un movimento antico (curato da Marta Bichisao) i personaggi rifiutano la plausibilità, diventano fantocci come Otello e Iago per Pasolini, scaricati in mezzo all’immondizia; su di loro prevale la tenacia di attori che lavorano, che si divertono e che sudano, che – ruvidi e teneri insieme – esplodono di verità nella loro grande e irresolubile contraddizione. Solo in questo modo – e solo lui con questa nettezza artistica – Lupinelli tira un calcio violento a ogni possibile compassione, a ogni tentazione che andrebbe verso la pura adesione. E il lavoro sulla diversità diviene un lavoro sull’impossibilità di distinguere.
Quando ancora una volta Otello torna a chiedere a Iago: «Ma qual è la verità? Quello che penso io di me, quello che pensa di me la gente o quello che pensa quello là lì dentro (riferendosi al burattinaio, ndr)?». «Che cosa senti dentro di te?». «Sì sì, si sente qualcosa che c’è». «Eh, quella è la verità. Ssst, non bisogna nominarla, però. Perché appena la nomini, non c’è più».
Sergio Lo Gatto
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CHE COSA SONO LE NUVOLE?
Regia Maurizio Lupinelli
spazio scenico Vincenzo Schino
costumi Elisa Pol
ricerca sul movimento Marta Bichisao
con Simone Bernardoni, Roberto Capaldi, Michele Cardaci, Paolo Faccenda, Elsa Francesconi, Ilaria Giari, Marco Lambardi, Gianluca Mannari, Federica Rinaldi, Valentina Scarpellini, Diana Spadoni, Lucy Statelli, Cesare Tedesco, Elena Tomaino, Vincenzo Viola
educatori Giacomo Carpitelli, Franca Giglio, Elena Pantani, Silvia Proserpio
produzione Nerval Teatro, Armunia/Festival Inequilibrio con il sostegno di Regione Toscanain collaborazione con Opera