HomeVISIONIRecensioniBalkan Burger. L'epopea klezmer di Stefano Massini

Balkan Burger. L’epopea klezmer di Stefano Massini

foto di Ufficio Stampa

Fino a qualche mese fa di Stefano Massini avevo solo sentito parlare. Poi la comune e felice esperienza del progetto Urgenze alla residenza Idra a Brescia ci aveva fatto incontrare, durante un suo seminario di drammaturgia rivolto a un gruppo di giovani scrittori. Stavolta ce la metto tutta e vedo di raggiungere Castiglioncello in tempo per parcheggiare la moto qualche chilometro più a sud, a Rosignano Solvay, dove le ruote mordono una spiaggia bianca di bicarbonato. Di qua un cespuglio di tende da campeggio e qualche strilletto racconta che c’è una giovane festa in corso, poco più in là, invece, si fa il teatro del festival Inequilibrio. Un cerchio di fiaccole conficcate nella sabbia rosseggia disegnando uno spazio, per l’ennesima volta impegnato a sradicarsi dai confini convenzionali. Su un tappeto di musica klezmer viaggia sommesso il fiato di un flauto traverso: è Enrico Fink, che suona dal vivo dalla sua postazione, le forme tremolanti oltre il fuoco. Il pubblico prende posto sulle stuoie adagiate sulla sabbia. E poco dopo, ballando dolcemente, Luisa Cattaneo arriva a raccontare la sua storia.

Nella squisita assonanza di due parole straniere, il titolo Balkan Burger racchiude gran parte del senso di questa narrazione per voce sola e musica dal vivo. Nella ex Jugoslavia è ambientata la storia di Rose (o Razna), chiamata così per via della pelle, «rosa come quella di un vitello da latte». Unica femmina in mezzo a quattro fratelli in una famiglia di macellai ebrei, arricchitasi anche in tempo di guerra con l’allevamento del bestiame e la vendita della carne: per quanto male possa andare, c’è sempre un momento in cui un popolo si raccoglie attorno a un tavolo per festeggiare mangiando carne. Quando la Jugoslavia erano serbi, croati, bosniaci, cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei, etnie di ogni colore e credo mescolate e macinate, appunto, in un hamburger culturale che cambia sapore a seconda dei confini che traccia. E così, per una serie di intrighi, giochi del caso e paradigmi di astuzia umana, una sorta di epopea à la Emir Kusturica porta Rose dalla deportazione alla clausura, dalla lotta di classe alla resistenza contadina, attraverso tre matrimoni con tre diversi riti, morendo e resuscitando due volte in una strizzata d’occhio alle vite dei santi e recitando salmi e preghiere in quattro lingue diverse, al ritmo costante della mannaia che affetta la carne. Il macello vissuto come uno strano e gaio sacrificio, tributo a una natura primordiale che in tempo e luogo di spaesamenti storici sembra l’unica costante in grado di promettere salvezza, “se una storia la sai raccontare”.

Luisa Cattaneo

Oltre che per l’uso agile della lingua, la scrittura di Massini stupisce innanzitutto per le alte qualità strategiche: una struttura complessa, piena di rimandi e nodi che tornano dopo pagine di racconto appassionato, tesse radici sociologiche, storiche e politiche con sapienza davvero rara. Se qua e là (soprattutto nella prima parte) si nota ancora qualche traccia di compiacimento narrativo che ingrassa, pur con ottimo ritmo, una materia fin troppo densa, il cesello del drammaturgo scolpisce la storia con tempi e modi assolutamente calcolati, formando asole in cui l’interpretazione di Luisa Cattaneo, divisa tra dizione cristallina e corpo mimico al servizio dell’epica, si inserisce con pulizia e precisione. Il lungo monologo, ammorbidito dalle musiche di Enrico Fink, scorre e appassiona, nonostante il freddo e l’umido che, in questa notte di primo luglio, si aggrappa alle ossa. C’è il talento di una penna che non si limita ad andare in cerca del fatto curioso, ma lo trafigge con un ragionamento orizzontale, lasciando al corpo in scena spazio e ambiente per un viaggio immaginifico. Questo apologo di tempi non remoti, anticulturalista e maturo, fa di Massini uno degli autori più attenti, decisi e “classicamente moderni” della nostra drammaturgia.

Sergio Lo Gatto

Visto a Rosignano Solvay. (LI), il 7 luglio 2012

BALKAN BURGER
scritto e diretto da Stefano Massini
con Luisa Cattaneo
musica composta ed eseguita dal vivo da Enrico Fink
produzione Teatro delle Donne di Calenzano in coproduzione con Officine della Cultura

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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