Succede che a volte si cammini per la strada distrattamente, si lasci passare davanti agli occhi la città che nella notte s’immerge a farsi fiume di buio, a svicolare angoli e raccogliersi nelle larghe piazze di Roma, succede che la serata stia terminando dopo che il rito del teatro l’avevi continuato fuori, succede che i luoghi immobili a fare sfondo dei tuoi passi regolari di colpo subiscano cambiamenti e ciò che conoscevi, che avevi dato per immutabile, svela di avere ancora una vitalità soppressa e tutta da dimostrare. Questa un po’ la sensazione ad aver camminato per Trastevere la sera giusta, quella del 2 giugno 2012 in cui un gruppo di precari e studenti medi e universitari ha deciso di forzare l’entrata di uno stabile in cui una volta c’era il Cinema America, spazio privato che da tanti anni se ne stava come una discarica culturale, come tanti luoghi diamo ormai per scontato facciano parte di un ambiente dismesso, abbandonato all’incuria e alla nostra distrazione. C’era una volta il Cinema America, ora e da anni c’è rimasta solo la scritta, lì in alto a dire “cosa sarebbe stato se”, se non fosse caduto vittima della rete di speculazione che tende al profitto cieco anche dei luoghi comunitari, se non avessimo lasciato in questa città certi relitti incagliati nelle sabbie dei quartieri, dove si trasferiscono i pesci e traslocano i progetti culturali.
Fumo e fuochi d’artificio, all’olfatto “un’aria da primo dell’anno” la dice qualcuno, svoltiamo per via Natale del Grande mentre dalla porta ora aperta si lanciano magliette blu con lo stemma di un Ministero e asciugamani bianchi trovati a catasta appena dentro, fuori è il caos, non si capisce subito cosa stia avvenendo, in molti sono dentro, altri attendono fuori e stappano vino, birra, sciamano per la stretta strada trasteverina marcando di bombolette spray la solitudine dei muri anonimi, o che almeno loro credono tali al punto di doverli necessariamente colorare, a loro piacimento; dalle finestre si affaccia qualcuno, forse riflette su quanto sta accadendo in relazione alla notte che credeva tranquilla, in vestaglia cerca di raddoppiare gli occhi e farsi un’idea dell’accaduto, desiste, attende. Quando si fa spazio, decidiamo di fare qualche domande lì dove abbiamo sentito parlare al megafono, ci avviciniamo e due ragazzi ci raccontano, anche troppo preparati a doverne dire, di essere una rete dal nome Trast Invaders, che ha deciso di riprendersi la città invadendo le borgate che la gente non abita più, appaltate all’indotto del turismo più che ai cittadini, primi fra tutti spazi culturali come questo – ci dicono – che sta per diventare un supermercato. Raccolgo un volantino, leggo che le loro azioni d’invasione hanno il fine di riaffermare il valore dei luoghi rubati alla collettività, a partire da quelli culturali dove comunità si forma: teatri, cinema, palestre, scuole, università, dove si annida la dimenticanza vorrebbero loro, passare l’antipolvere della loro voglia rivoluzionaria.
Dopo aver raccolto informazioni, la porta è aperta, entriamo. L’ingresso è ridotto a magazzino, volantini di eventi mai avvenuti giacciono dentro le loro scatole di allora, sulle scale un viavai di curiosi cerca di farsi largo tra i calcinacci, in basso la sala, sulla sinistra; con le luci dei cellulari ci facciamo largo alla vista, spazio enorme e che qualcuno dice “solo da ripulire un po’”, altri fuori mi dicevano che invece è pieno d’amianto e lo sanno tutti, ma nessuno degli “invasori” sembrava averne notizia. Poi una voce prega tutti di uscire, è l’ora di richiudere tutto e spingersi in piazza, fare dell’azione dimostrativa un primo passo e non cadere in un radicamento dispendioso e logorante. È stato lanciato un monito, ne verranno forse altri. Mi pare bene che resti agile, l’occupazione di questi tempi.
In piazza – ci dicono – ci sarà un reading quasi improvvisato, ci andiamo come proprio un fiume, al cui argine molti ancora si fermano a guardare, il passaggio dei detriti: il primo tamburo inizia a battere, i primi capannelli brindano di birra e spumanti da chissà dove giunti, seduti a terra sembra di essere a San Lorenzo e – vuoti da considerazioni – è già bello così. Andiamo via, poco dopo, lasciando la musica alzarsi e prendersi, almeno stanotte, la piazza San Cosimato. Ma è ripassando per caso al mattino dopo che ci si accorge dei residui, dei detriti rimasti anche quando il fiume s’è prosciugato: la piazza è piena di cartacce e rifiuti, bottiglie di birra e di spumante lasciate sulle macchine e sul terreno, sui muri dei palazzi, di fianco ai portoni, ovunque un simbolo disegnato in rosso che pare un granchio da videogioco: “il centro della città vuole essere pacificato, una bomboniera da esporre per i turisti”, dice il volantino, ma contrastare la “bomboniera” non è ridurla così, farsi carico di una storia ciclica e riportare oggi a Roma queste invasioni pur sempre barbariche, fino all’ultimo colpo di tamburo, finché non finisce il gas delle loro bombolette spray.
Simone Nebbia
clicca sulle foto per ingrandirle (nel rispetto dei manifestanti i volti sono stati oscurati), tutti gli scatti sono di Simone Nebbia
Il primo barbaro è chi ha consentito la trasformazione di Trastevere in un grande ristorante a cielo aperto. La partita è ancora aperta, cerchiamo però di vincerla, non di comportarci come se fossimo Schwarzenegger in Terminator. Mostriamo cosa potrebbe essere, non cosa “avrebbe potuto”.
Come ha detto Andrea Rivera: siamo tutti bravi a fa i fighetti al centro, andiamo a occupare le periferie dove (davvero) c’è bisogno di azioni culturali e collettive. E poi: ma perchè c’è bisogno di distruggere i muri di Trastevere?????? Bah. Queste occupazioni stanno iniziando a essere moda radical, sempre in centro, mai dove la cultura manca davvero e ce ne sarebbe bisogno.
Nel rione, in un perimetro di poche centinaia di metri, contiamo i cinema: Reale, Roma (in ristrutturazione), Sala Troisi, Nuovo Sacher, Intrastevere, FilmStudio (se non sbaglio) alcuni di questi con più’ di una sala. Teatri: Belli, Agora’, Argot studio, Casa delle Culture. Librerie: Del Cinema, MinimunFax, (non più’ Bibli purtroppo!), Griot. Dimentico sicuramente molti luoghi. Tutti con buona programmazione culturale e bigliettazioni non esose. Non solo pub ma anche enoteche e luoghi di incontro più’ “sobri”. Ristoranti chiassosi si ma anche trattorie più’ alla buona anche se sempre più’ rare. Penso che il bilancio di luoghi di cultura sia addirittura positivo e unico rispetto ad altri quartieri. Concordo con Gaia sulle periferie. Poi ci sono aree della “movida” assediate da clienti di locali di basso profilo come c’e’ una illegalità’ diffusa riguardo alla mobilita’ e alle zone di sosta alle occupazioni di suolo pubblico. Polizia pochissima da sempre nonostante un commissariato, una stazione dei carabinieri e un comando dei Vigili in poche centinaia di metri. Penso che ci sia ancora molto da fare ma non penso che i problemi siano “le guardie” onnipresenti e “i fasci”. La debolezza della azione dei TI e’ nella mancanza di coerenza con il messaggio che si vuole portare, molto generico , autoreferenziale. Assente il dialogo con i residenti da sempre impegnati (con fatica) nella difesa della qualità’ del quartiere. I ricordini lasciati sui muri delle strade non aiutano il contatto anzi lo allontanano. Penso che rispetto agli obiettivi posti sia stata una azione controproducente. Mi piacerebbe pero’ poterne discutere. Anche con i ragazzi per capire chi sono e se TI e’ un pretesto o davvero c’e’ volontà’ di migliorare il quartiere dove vivono (se ci vivono, qualcuno ne dubita).