HomeVISIONIRecensioniSotto traccia della borghesia, i Rusteghi di Vacis e Goldoni

Sotto traccia della borghesia, i Rusteghi di Vacis e Goldoni

Foto di Bepi Caroli

Venezia è stata per Carlo Goldoni affascinante come riluce la lama di una ghigliottina, che attrae e insieme uccide: la sua potenza marittima mondiale si scontrava con un abietto provincialismo, i suoi valori libertari (o meglio, forse, libertini) si misuravano con invece una grettezza d’interni che sconfessava in famiglia l’apparenza mondana; Venezia è ciò che Mann definirà «la città più inverosimile del mondo», illusa anche da sé stessa, ingannata dalle sue mostrine e ridotta a rappresentazione continua di una realtà dismessa: proprio in questa Venezia Goldoni tornò, negli ultimi anni della sua vita alla fine del Settecento, e la trovò intrisa di falsi moralismi, di bieca affettazione in continua riaffermazione della sua ostilità al cambiamento e all’emancipazione. Ecco allora che questi Rusteghi, testo scritto negli anni della maturità e portato ora in scena per la regia di Gabriele Vacis, si inscrive perfettamente in quella scelta di linguaggio dialettale a raccontare di situazioni quotidiane, volto a ricavare dalla società veneziana del tempo un ritratto più tendente alla verità, che sveli il suo carattere selvaggio e conservativo.

In una famiglia ricca e austera il mercante Lunardo, padre della giovane Lucietta nata di primo letto, inizia i preparativi tecnici ed economici per darla in sposa, con ogni probabilità al giovane Felippetto, figlio di famiglia altrettanto austera. D’amore nessuno parla. Le uniche specifiche sono di carattere meramente pratico e anzi si sfidano anche, i due padri, affinché l’uno si dichiari più concreto e disincantato dell’altro, primo nell’abilità di mettere la famiglia sotto il suo stretto controllo. Ma l’amore è gas, e le donne ne portano nel fiato. Saranno così le loro donne, vittime d’ignobile maschilismo, a farsi carico degli espedienti affinché i due giovani possano vedersi, scoprirsi, come forse a loro non è capitato: scegliersi. Questo è ciò che Goldoni lascia alla comunità in cui rintracciava tale corruzione di rapporti umani: l’esempio di un’educazione illuminata, di una conduzione familiare più civile, di una crescita ideale in termini di relazione sociale e non di cieco sviluppo commerciale, vilmente economico.

Foto di Bepi Caroli

Gabriele Vacis compone una scena di otto attori, tutti maschi che interpretano non casualmente anche le parti femminili, in cui si registra equilibrio fra giovani e più maturi (da segnalare l’istrionismo misurato di Jurij Ferrini e la verve espressiva di Natalino Balasso), come già voler definire fra gli obiettivi questo rapporto intergenerazionale che poi sarà espresso da inserti video “a parte”, in cui gli attori smettono i personaggi e, commentando le immagini, lasciano al pubblico frammenti della propria vita di relazione familiare. Il maggior valore dello spettacolo è una disegno leggero attorno a una vicenda cupa, che permette a Vacis di condurre l’intera struttura dando pieno risalto alla situazione metateatrale che il testo si porta in sé (a volte tenendosi sul filo rischioso del macchiettismo), sostenuto con maestria limpida dal gioco di scene e luci immaginato da Roberto Tarasco, capace di trovare l’atmosfera vibrante di una luminosità velata di luce antica in quel “rustico” interno casa, contrastandola poi di un potente ghiaccio quando l’espediente inizierà a prendere la scena.

Il Goldoni di Vacis porta dunque in scena una borghesia incapace di far respirare la propria umanità, così vittima del proprio esercizio di potere e della crescita in continua espansione; la sua lettura mira a mettere in luce le venature di una tirannia là dove il sangue che sotto vi scorre denuncia comunque la sua pulsante vitalità. Starà ancora pulsando, questo sangue, in un paese come il nostro che è vittima della sua superba voracità e che di economia senza sentimenti sta pian piano morendo? Una speranza, accesa, passa proprio nel suo habitat naturale: su un palcoscenico di teatro.

Simone Nebbia

Fino al 20 maggio 2012
Teatro Quirino [cartellone 2011/2012] Roma

I RUSTEGHII nemici della civiltà
da I rusteghi di Carlo Goldoni
traduzione e adattamento Gabriele Vacis e Antonia Spaliviero
con Eugenio Allegri, Mirko Artuso, Natalino Balasso, Jurij Ferrini
e con Nicola Bremer, Christian Burruano, Alessandro Marini, Daniele Marmi
composizione scene, costumi, luci e scenofonia Roberto Tarasco
regia Gabriele Vacis
produzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino e Teatro Regionale Alessandrino

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2 COMMENTS

    • ma del Quirino intendi Giorgio, oppure medaglia d’oro tra tutto quello che è passato per Roma?

      grazie di leggerci

      andrea

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