Nella notte di Natale di chiunque c’è un carico di sentimenti riposti durante l’anno intero, come chissà, rifiorissero in una notte che la riflessione spirituale vorrebbe di pace, ma i sentimenti conoscono tinte e sfumature diverse e antitetiche, esplodono e si comprimono attraverso i corpi abitati, vivono e fanno vivere la loro esistenza; ecco allora che la parte nera dell’anima, disposta a raccogliersi nelle ore che si vogliono a questo predisposte, annida nella solitudine tutto l’inquieto feroce affanno di un’esistenza insoddisfatta, si carica di un malessere sudato e dimesso che non lascia scampo alla disperazione. Di questo sentimento sfibrato si nutre il nuovo spettacolo di Biancofango, Francesca Macrì e Andrea Trapani (con lui in scena anche Aida Talliente), che non gridano ma tengono sommessamente in gola l’urlo inghiottito, la bestemmia più volte repressa di questo Porco mondo.
Uno spazio che a prima vista si direbbe semivuoto, è in realtà disseminato di addolorate frizioni che tra i due sono subito evidenti, con loro due sedie di cui si sente il freddo della seduta, la scomodità, così come il loro sudore passa sul corpo di chi vi assiste con sintomi di un morbo dilagante, avvertibile da chiunque abbia sperimentato l’estenuazione e il rimpianto. In basso, un panettone già fuori dalla scatola e una bottiglia di spumante dolce ancora incapsulata: sono inopportuni in quella scena, lo saranno per tutto lo spettacolo e si capisce fin da subito che il loro festeggiamento, quando arriverà strappando via piangenti il tappo o spiluccando per poi sbranare il dolce, sarà suggello di quella disperazione, sarà quel che li riunirà perché nulla altro si può fare, li tiene insieme il riflesso di quello specchio sporco in cui nitidamente lasciar impresso il volto segnato di un’impietosa miseria.
Lui e lei, che non hanno nome e non importa. Lui – laido, turpe, violentemente osceno Andrea Trapani – si vestirà di bianco perché forte è il suo bisogno di purezza, possente quel che ha appena dichiarato: il suo amore libero, ma disperso per gli antri della rete telematica, per una ragazzina di tredici anni; lei – avvilita e vizza, annientata dai sogni perduti Aida Talliente – si vestirà dello stesso bianco e cercherà nella posticcia figura di una Marilyn prosciugata e isterica una sensualità che forse non ha mai avuto, se non forse un tempo, ma un tempo assai remoto per lui che nemmeno si volta più a guardarla, infastidito dalla sua voce, dai capelli veri o finti non importa, la odia con tutto il cuore che vorrebbe pieno e che non sa esserlo. È finita, ma perché le storie finiscano devono aver coraggio gli uomini che le abitano. E questo è il dolore più grande: scoprirsi pavidi con i propri stessi sentimenti, affogati dall’incapacità di rendere la propria espressione pari alla necessità.
Ma c’è qualcosa, ancora. Un disturbo lancinante prende la percezione fin dal principio: l’uomo lancia subito di fronte a sé la sua depravazione incondivisibile, la pedofilia, poi la dinamica di coppia soppianta quel macigno lasciato cadere nel vuoto, al punto di avvertirne noi ancora il ricordo ma più forte si avvertirà la repulsione per quella vita sfitta in cui far stare due occupanti coatti, coinquilini di una rovina; alla fine di nuovo l’uomo tornerà a tenere insieme quella depravazione con la libertà, la sua, ma noi avremmo vissuto un sentimento avvelenato che quasi giustifica, attraverso la sua necessità, quella fuga bianca in cui ci ha trascinato. In questa linea d’ombra camminano loro, nella stessa portano noi. Cosa resta dei sentimenti nella scatola che li comprime? Sul fondo, alla fine, si riconsegnano a quel calore triste e artificiale, alla loro quotidiana incapacità all’amore. E dunque a una particolare – fin troppo diffusa – specie d’amore.
Simone Nebbia
Visto a Teatri di Vetro 6 [programma]
Roma
maggio 2012
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PORCO MONDO
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
regia Francesca Macrì
con Aida Talliente e Andrea Trapani
disegno luci Luigi Biondi
produzione Biancofango, La Corte Ospitale, OFFiciNa1011 di Triangolo Scaleno Teatro