La frase nominale in grammatica si definisce come una proposizione senza verbo, utilizzata prevalentemente con funzione assertiva o descrittiva, in cui categorie grammaticali diverse assumono il compito sintattico del predicato. Dopo Stato Secondo, spettacolo nato da un’indagine sulla natura del tempo, e dopo la serie di performance in spazi non teatrali (Camera, Ordinale e Igiene), la compagnia Habillé D’eau, guidata da Silvia Rampelli, torna in scena per l’edizione 2012 di ZTL – Zone Teatrali Libere al Palladium di Roma. Or – Sulla frase nominale traccia un possibile prosieguo nella riflessione sui concetti di spazio, tempo e presenza, soffermandosi, in maniera particolare sulla dimensione dell’umano inteso come dato, fattore e oggetto di uno studio estetico. Si tratta, come per gli altri lavori della compagnia, di una danza performativa, ovvero di una scrittura coreografica che, lungi dal risolversi esclusivamente nel corpo umano e nelle sue possibilità di movimento, dona una dimensione corporale (o sarebbe meglio dire rende corpi performativi) tutti gli elementi che strutturano la performance: la luce, il suono, gli oggetti introdotti sulla scena, lo spazio (inteso nella sua totalità percettiva) e il tempo (qui traslato attraverso i precedenti elementi in oggetto concreto e visibile).
Silvia Rampelli costruisce Or interrogandosi sulla dialettica tra temporalità e identità della forma e sulle modalità di percezione di un evento reiterato. Su una scena totalmente spoglia, se non per un drappo che chiude la parte destra del fondale, i corpi delle danzatrici Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini e Andreana Notaro appaiono come figure continuamente mutate dall’alterazione dello spazio che le accoglie. La dinamica di ripetizione e reiterazione delle forme (visive e sonore) che costituiscono la performance è chiara sin dall’ingresso in sala dello spettatore. Il vociare del pubblico in attesa dell’inizio dello spettacolo, infatti, è doppiato dalla registrazione audio di un ulteriore vociare che sembra rimandare ad una medesima situazione di attesa. Una voce, ancora registrata, pronuncia il cognome di Cristiani imponendosi come ordine o esortazione. Al suono della parola, in effetti, corrisponde l’entrare in scena della danzatrice che, nello spazio vuoto, dà vita alla propria partitura tutta costruita sulla disarticolazione della struttura corporea, ora scomposta in una sorta di figura geometrica che conserva dell’umano solo il calore della carne, il respiro e il fiato. Tale partitura appare come il soggetto di una proposizione che si contrae ossessivamente nella sua continua affermazione.
Nella reiterazione del gesto – o della sequenza di gesti – si incuneano differenti gradazioni di luce, diverse modulazioni del suono, nonché ulteriori partiture coreografiche (quelle di Eleonora Chiocchini) capaci di ridefinire, di volta in volta, la percettibilità dell’immagine complessiva, ovvero il grado di presenza di ogni singolo elemento che la compone. Il nesso tra tali presenze è oltretutto ostruito a causa della frammentazione continua e il rifiuto di qualsiasi linearità narrativa e/o puramente coreografica. Non si tratta di un precipitare delle forme in ulteriori forme attraverso una scrittura scenica capace di tenere uniti i segni messi in campo, piuttosto di una continua frammentazione, del ripiegarsi delle forme su se stesse, accavallandosi e dispiegandosi nuovamente nella loro effimera integrità. Un asciugamano bianco appeso alla parete e continuamente ripiegato da Cristiani oggettivizza l’intera struttura dello spettacolo. Or – Sulla frase nominale sembra costruirsi esattamente come il tessuto dell’asciugamano utilizzato: non solo la performance si piega, chiude e riapre su se stessa in una dinamica di continua contrazione e dilatazione, ma questo stesso movimento diviene immagine di un contrarsi e dilatarsi del tempo. Lo sguardo dello spettatore è allora invitato a scivolare in tali pieghe temporali, a perdersi in quelle interruzioni del nesso (senso) attraverso le quali i corpi sembrano sfumare nell’ombra, apparire e affondare nella piega come minuscole molecole percepibili ma mai definibili (meravigliose, in tal senso, le figure costruite da Andreana Notaro). Solo nel rifiuto di una linearità temporale, infatti, è possibile abbandonarsi alla traslazione degli elementi, a una luce, a un suono e a un’immagine capaci di agire come il corpo delle danzatrici: come presenza non più qualitativa ma assolutamente predicativa.
Matteo Antonaci
Visto il 10 maggio 2012
Teatro Palladium [cartellone 2012]
Roma
Or – Sulla frase nominale
Ideazione e regia Silvia Rampelli
Danza Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Andreana Notaro
Luce Gianni Staropoli
Registrazioni Paolo Sinigaglia