“Il discorso sul potere include in sé il senso della morte, elementi in Sicilia strettamente connessi”, aveva detto Francesco Rosi, in un’intervista del 1991. In questa breve citazione sono compresi e stigmatizzati due elementi fondamentali che rendono davvero significativa l’idea di riportare il testo di Shakespeare, Riccardo III, in Sicilia, trovando nell’immenso cuore tragico dell’autore inglese le caratteristiche antropologicamente più profonde della società siciliana, il senso, o sensazione o significato, della morte, il lutto e il modo in cui questo si lega al potere, in una prospettiva etica, ideologica, storica. Non a caso il regista Giuseppe Massa, ci presenta un universo di donne, quelle madri offese, private dei loro affetti, da una società fondata sulla violenza, sulla prevaricazione. Avanzano sulla scena portando il fardello del loro dolore, le donne della tragedia, nei loro lamenti gli echi di tanti altri lamenti che sembrano provenire dal cuore stesso della terra siciliana così da giustificare pienamente la scelta di un dialetto dalle tinte fosche, istintivo, popolare, viscerale, primitivo.
Così tutto comincia dalla lamentazione dolente, straziante, tribale di una madre, ricordo di un antico rituale folclorico con quella carica destabilizzante nei confronti dell’ordine costituito da una civiltà di uomini. Ecco perché tre donne, tre vittime del potere, tre madri e tre mogli, tutte interpretate da una animalesca, barbarica, Simona Malato, lanciano invettive, maledizioni, si disperano, litigano in modo furioso, ma non sono altro che il riflesso l’una dell’altra, il riflesso di quel male nero che è la società.
La scena è un cimitero di specchi, taglienti, anneriti, ma in grado di offrire un riverbero che è lo squarcio più reale della realtà. Vi si rifrangono, assumendo sembianze diverse, i sospetti, gli intrighi, i tradimenti, le menzogne, i ricordi, le paure che inevitabilmente accompagnano la lotta senza esclusione di colpi per la conquista e il mantenimento del potere. Gli specchi rimandano una luce diversa, dove regna l’ambiguità, dove le verità, anche quella storica è svelata, ma subito nascosta, si denuda il vero volto dell’ipocrisia in un susseguirsi di ribaltoni in cui gli amici diventano nemici e viceversa, in cui il male proviene dall’anima ma si espande su tutto.
A fare esplodere i conflitti latenti, il duello verbale tra Elisabetta e Riccardo, cui la stessa attrice da corpo come se, questo re, archetipo del male, non fosse che il rovescio di un’anima, a ricordarci che ogni uomo, anche il più potente, è nato da donna. Un duello feroce tra vittima e carnefice che tiene alta la tensione e fa dimenticare una iniziale difficoltà ad addentrarsi nel plot della ri-elaborazione libera e originale del testo.
Filippa Ilardo
Visto al Teatro Garibaldi
Enna
Maggio 2012
RICHARD III
(overu la nascita dû novu putiri)
di William Shakespeare
Regia e Traduzione in siciliano Giuseppe Massa
Con Simona Malato
Scene e Costumi Simone Mannino
Luci Rudy Laurinavicius
Assistente alla regia Simona D’Amico
Foto di scena Simona Scaduto
Aiutocostumista Isabella Stefanelli
Produzione Associazione Bogotà in collaborazione con A.C. Sutta Scupa e Nostra Signora c.c.d