Nell’anno 1992 in Italia sono nati 575216 bambini, ma se andiamo a monitorare i 545038 morti dell’intero anno solare, ne risulta che il saldo naturale è in positivo di 18149. Naturale lo chiamano, il saldo. S’intende la differenza fra quanti sono nati e quanti morti nello stesso anno. Ora non so quanti siano nati tra il maggio e il luglio di quell’anno, di questi non so quanti in Sicilia, ma il saldo che li mette in relazione ad almeno un paio di morti (dieci per la precisione) di quel periodo è tutt’altro che naturale. E allora Atlante questa settimana il viaggio lo fa doppio, farà cioè in modo di misurare la strada che separa Via D’Amelio a Palermo da un cavalcavia lungo l’Autostrada A29 che porta all’aeroporto di Punta Raisi, all’altezza dello svincolo di Capaci. Pochi chilometri, la strada di ogni giorno. Dalla città che si chiama Palermo al posto da cui volare via e che prenderà il nome, di lì in poi: Aeroporto Falcone-Borsellino. No, non è per innescare sentimenti e dirci una volta di più del periodo più lugubre della storia italiana repubblicana, che non ha e non avrà mai giustizia, bensì per potermi permettere un altro viaggio, stavolta nel tempo, precisamente nei vent’anni che hanno condotto Salvatore Zinna (Compagnia Retablo di Catania, città in cui cerca di creare un tessuto da molti anni e che proprio in questo periodo forse – con altre realtà siciliane – vedrà compimento in una rete di cui presto parleremo “Rete Latitudini“) attraverso un Doppio legame da quella primavera del ’92 fino ai giorni nostri, a raccontare una storia che si vorrebbe passata e invece ancora urgente e, dunque, ancora da raccontare.
Un viaggio ulteriore, più breve, è quello che ci porta a Roma in questo luogo sconosciuto ai più, dove si fanno laboratori e qualche spettacolo: Paolo e suo figlio Diego Perugini lo tengono aperto da tre anni, si chiama Ritmiditeatro in zona Stazione Tuscolana, una saletta divisa dal marciapiede per un vetro e due tende rosse, legno al pavimento e per le sedie di chi assiste: il grado zero del teatro, ma tanto basta per questo monologo di Salvatore Zinna, nato assieme a Maria Pia Regoli nella primavera del ’92 e che oggi ancora va in scena, seppur con qualche modifica che tuttavia non intacca l’obiettivo che si pone. Enzuccio è un ragazzo di quartiere, ne vive la familiarità popolare e insieme il disagio della stessa, quell’amicizia un po’ imposta un po’ trovata per nascita. Il suo errore è il bisogno, la sua condanna è la debolezza che lo costringe a sottostare ai forti: coinvolto in un’affiliazione mafiosa per riparare ad uno sbaglio commesso, si trova a compiere gesti e atti che non lo rappresentano, cui vorrebbe fuggire e per inerzia non reagisce, fino a macchiarsi di colpe infami: vittima incosciente e carnefice imprevisto, Enzuccio, suo malgrado ingranaggio di un sistema criminale. Lo spettacolo inizia al buio, soltanto una piccola luce sulle mani che si sfregano una sull’altra, come il gesto di lavarsele, pulirsi da qualche colpa; la narrazione non ha preamboli ed entra subito nel mezzo, si dipana attraverso la lingua faticosa di chi non vorrebbe parlare pur costretto, chi vorrebbe far silenzio di cose più grandi di lui ma che si trova – appunto – nelle mani. C’è qualche ineleganza stilistica, forse qualcosa lo rende datato, ma lo spettacolo fa il suo meglio proprio nei contenuti, non giudicando la scelta, ponendola di fronte a chi ascolta con tutta la sincerità possibile, come opportunamente sa fare il teatro: Enzuccio è, in fondo, uno dei tanti. È uno, ma il problema è che sono tanti.
“Aprile è il più crudele dei mesi, genera / lillà da terra morta, confondendo / memoria e desiderio, risvegliando / le radici sopite con la pioggia della primavera”, così La terra desolata di T.S.Eliot. E da questo aprile io scrivo, vent’anni dopo, ma con il sentimento incavato di un prima trattenuto nella colla magmatica in cui s’è incagliata la responsabilità civile, divisa tra la morbosa appartenenza a un dolore collettivo e l’inanità della propria resistenza. Ma dove l’arte è viva, si fa energia rinnovabile e imperitura: e che rinasca allora, sulle radici della Sicilia sopita, su questa povera Italia desolata, una distesa di lillà e di erba nuova, lascito gentile della pioggia di primavera.
Simone Nebbia
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DOPPIO LEGAME
di Maria Pia Regoli e Salvatore Zinna
con Salvatore Zinna
musiche originali Renzo Ruggieri
regia Federico Magnano San Lio