HomeVISIONIRecensioniSulle note e tra gli effetti cromatici di Polvere alla Polvere

Sulle note e tra gli effetti cromatici di Polvere alla Polvere

Le note di Le vent nous portera e l’immagine creata dalle tre sagome nere che si scagliano su fondo blu elettrico, decretano la fine di Polvere alla polvere, piacevole sorpresa di questo inverno teatrale romano.

Lo spettacolo, dal testo del drammaturgo inglese Robert Farquhar (successo dell’edizione 2002 del Festival d’Edimburgo), in scena per la regia del giovanissimo Flavio Parenti, rappresenta uno di quei rari casi in cui la messa in scena di un testo costruito ad arte da un bravo drammaturgo riesce a restituire al testo stesso un valore aggiunto, non solo per la maestria degli attori, ma anche grazie ad una concezione organica della regia, il cui segno si manifesta deciso ed efficace.

L’intreccio è lineare e di scarso rilievo rispetto invece al testo in sé, la sua capacità di penetrare a pieno il contesto sociale e culturale in cui si situa (la contemporanea media borghesia inglese/europea, single, laica e auto ironica), la forza creativa attraverso cui costruisce i personaggi/monadi e i mondi intimi che ognuno di loro rappresenta, la struttura stessa del testo: un serrato alternarsi di parti monologanti in un tempo passato, quello del ricordo, che crea uno spazio-tempo in cui il dato reale assume valore solo in relazione all’elemento affettivo.

I tre personaggi (due uomini e una donna) possiedono un passato in comune, di cui Mick, il ragazzo morto, è la chiave di volta. Ex marito di Holly, miglior amico del cinico Harry e compagno di pub di Kev, apparentemente l’uomo senza qualità. Li accompagna, invisibile ma costante presenza, l’alcool, che nel tempo della storia narrata ed evocata ha unito e diviso i personaggi, con l’ineluttabilità e la tragicità per cui è classicamente conosciuto.

Una scena spoglia dove la luce oltre ad avere una funzione drammaturgica assume una consistenza materica e una qualità evocativa: di stanze, oggetti, spazi più o meno grandi, luoghi della memoria o dell’anima più che spazi reali. Attraverso la qualità cromatica e geometrica la luce costruisce lo spazio: narra il muro attraverso il quale il miglior amico e l’ex moglie di Mick costruiscono la loro lite immaginaria, si fa automobile, il luogo metaforico dell’incontro sentimentale dei tre, fino ad allora distanti, in direzione dell’ultima tappa del viaggio verso Mick, quella parte estrema della costa scozzese, la disabitata e misteriosa Durness, dove i tre disperderanno le ceneri dell’amato.

La recitazione essenziale ma non minimale, energica ed evocativa, le tre figure nere a piedi scalzi e abbigliamento icastico, il ritmo preciso ed incalzante che nasce da un lungo lavoro e si riversa nella partitura drammaturgica e in quella emotiva dei personaggi, costruiscono un insieme organico, in equilibrio perfetto tra lo spazio astratto dell’anima e quello concreto, brutale ed affascinante, della quotidianità.

Rari sono i casi in cui tutto scivola perfettamente verso il proprio traguardo, in cui gli incastri funzionano talmente bene da non formare angoli bensì curve sinuose come in questo Polvere alla Polvere. Un racconto in sordina, avvolto in un velo di sarcasmo, che solo in pochissimi momenti si lascia fendere dal dato tragico che la morte presuppone portare con sé: “…e ho pensato che, se Cat Stevens è l’ultima cosa che ha ascoltato prima di morire…non possedeva veramente nulla”, di sotto fondo Father and Son.

Chiara Pirri

in scena fino al 4 marzo 2011
Piccolo Teatro Eliseo [cartellone] Roma

POLVERE ALLA POLVERE
di Robert Farquhar
regia e scene Flavio Parenti
con Antonio Zavattieri, Aldo Ottobrino, Alessia Giuliani
traduzione Massimiliano Farau
luci Sandro Sussi
musiche Andrea Nicolini
Compagnia Gank
in collaborazione con Teatro Stabile di Genova

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