«L’altro Minotauro era proprio davanti a lui, ma poteva anche essere un’immagine dell’altro Minotauro o un’immagine della sua stessa immagine, forse nemmeno pensando lo si poteva stabilire, l’altro, ammesso che ci fosse un altro, aveva una testa come la sua e un corpo come il suo». In queste parole, composte per Il Minotauro da Friedrich Dürrenmatt nel 1985, si sente risuonare un’eco intrigante che rimanda a quel testo ultimamente così rappresentato (e non a caso) che è il Caligola di Albert Camus, frutto di tre stesure datate fra il 1937 e il 1958. Non a caso, le date. Se il racconto di Dürrenmatt si inserisce in un’epoca in cui la disumanità dell’uomo e il suo specchiarsi nel potere sono ormai elementi condivisi nell’analisi del mondo in trasformazione (e saranno gli anni di moltissime trasformazioni degli equilibri mondiali), Camus sviluppa il suo testo, che s’interroga sui meccanismi dell’esercizio del potere fra gli esseri umani, in un periodo che attraversa un’epoca di esplosione e non un inizio di decadenza, in cui il rapporto uomo-potere raggiunge la massima espressione e sviluppa quella cultura che ne veniva dai precedenti decenni. Ma entrambi, tuttavia, assimilano all’uomo – o meglio alla sua immagine disumanizzata ma specchio e pari ad esso – la depravazione che dal comando sfocia nel dominio. Sembra averne colto la sfumatura Tiziano Panici, che ne porta in scena (per l’avvio della rassegna Drammaturgie Corsare) una versione monologante dal titolo In corpore_banchetto liturgico per Caligola, scegliendo (assieme a Ilaria Drago che con lui firma la regia) una rappresentazione che svicoli dalla messa in scena di un folle mangiafuoco per imperatore e che invece promuova questo sottile sentimento di viziosità in cui ogni uomo pare coinvolto.
Ecco allora la prima scelta: il travestitismo. Panici, in un’atmosfera intrigante e sospesa, entra in scena in abiti femminili e intona un canto di note soffici e ammalianti, morbido sussurro il suo, una sirena si scoprirà più avanti, un corpo metà uomo e metà… uomo lo stesso, nel suo essere bestia (ecco perché torna Il Minotauro), svelandosi quando la corruzione di una musica tribale interverrà a spogliarlo e riportarlo a una figura eretta. Questa duplicità di Caligola è Caligola stesso, uomo fuori che combatte con l’uomo dentro, quello annientato dalla seduzione di possedere e – quindi – proprio per questo umanissimo. Altra scelta piuttosto chiara è di utilizzare specchi rivolti verso il pubblico cui Caligola si rivolge: in quegli specchi il gioco dapprima riflette chi sta ascoltando il suo delirante comizio, poi con un buon tocco stilistico proietta i personaggi della sua vicenda che scopriamo essere noi, come se, portati all’interno di quella vicenda, scoprissimo quanto da vicino ci riguardi.
Un’estetica ben dosata, fluida ed elegante, una prova fisica eccellente e un’intenzione coraggiosa di affrontare questo testo seguendo la difficile via dell’accentramento estremizzato su di sé, soprattutto averlo compreso questo testo e non travisato, sono i valori di uno spettacolo che tuttavia ha due nodi ancora da sciogliere: da una parte un peccato di seriosità, un eccesso di sofisticatezza là dove forse avrebbe giovato alla penetrazione del pubblico una maggiore permeabilità, dall’altra la presenza di Panici in scena che – pur di rilievo e senza alcun risparmio di energie – riesce con difficoltà a supportare un personaggio così complesso e sfaccettato. Resta il corpo, infine, di un imperatore prima ancora uomo, che sconta la sua solitudine di sentirsi pari agli dei senza poterlo essere, un corpo che mostra di sé rappresentazione e l’impianto di finzione che la governa. Ma il corpo che resta in scena, sudato e da sé stesso sconfitto, è più che verità.
Simone Nebbia
Visto il 10 GENNAIO al Teatro Orologio Sala Orfeo
IN CORPORE_banchetto liturgico per Caligola
regia Tiziano Panici e Ilaria Drago
con Tiziano Panici
Leggi gli altri articoli sulla rassegna Drammaturgie corsare