Una volta di più è sorprendente come i momenti di crisi diano vita a un incremento delle proposte di soluzione. Nell’emergenza trovano spazio molte delle ragioni di un muoversi comune, gli slanci che, quantomeno in questi recenti mesi, stanno portando esperienze differenti a superare i quartieri che nel tempo le avevano allontanate, verso la ricerca di una progettualità comune. Come per magia, gli orizzonti si spalancano e il colore vivo di certe piccole e meno piccole scoperte, di certi laboratori metodologici, appaiono più limpidi e in qualche modo più raggiungibili.
Questa sarebbe la linea teorica lungo cui incolonnare la speranza di qualsiasi lavoro di interconnessione, soprattutto se, come nel caso del sistema teatrale, proprio quei quartieri hanno creato la crisi. Molto più che il contrario. E questo sarebbe il modo unico di spiegare a chi non fosse stato spettatore dell’esito di molti casi analoghi, come e perché le “buone pratiche” dell’esperienza condivisa e della condivisa azione gioverebbero a questo stesso sistema. Ma molti di coloro che leggono queste pagine sono stati più volte spettatori del fallimento (anche parziale) delle stesse. E allora risulta – tristemente – più faticoso rintracciare i semi promettenti di una nuova impresa come il Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea. Ma non ci si perde d’animo e si tenta di dar conto di questa nascita con l’attenzione che si riserva ai passi avanti. Ovunque e comunque.
È il collega Marcantonio Lucidi a moderare la conferenza di presentazione del Centro, che riunisce ad oggi 120 autori attorno alla presidenza di Maria Letizia Compatangelo e al coordinamento di Angelo Longoni. Cariche, queste, provvisorie, in vista di una prossima “assemblea costituente” che definirà i ranghi definitivi di questo «assolutamente nuovo e necessrio gruppo che fa della democrazia interna e dell’uguaglianza la sua meccanica principale». L’incontro ha avuto luogo al rinnovato Teatro Quirinetta, ospite – anche qui in veste provvisoria – del presidente Willer Bordon, interessato non solo a «un luogo di produzione e presentazione, ma anche a una sorta di salotto culturale».
Il punto di partenza lo conosciamo bene: che fine ha fatto la drammaturgia italiana contenporanea? 80% delle produzioni vengono date in pasto al repertorio mentre, come si legge nei materiali, la stessa cifra “all’estero (un po’ generico come riferimento) è riservata al contemporaneo”. Certo è che la chiusura dell’Eti – e di tutte le opportunità di promozione nazionale e internazionale – ha dato una definitiva stangata alla letteratura teatrale italiana. Più di dieci anni prima, nel ’98, sotto l’amministrazione Veltroni, esalava l’ultimo respiro l’Idi, Istituto per la Drammaturgia Italiana, che si era occupato dal 1947 di far sì che non fosse Pirandello l’unico autore italiano davvero osannato (e frequentemente rappresentato) all’estero. Il risultato: qual è oggi l’unico autore italiano davvero osannato e frequentemente rappresentato all’estero? E quale quello che gli Stabili producono di più? Appunto.
Compatangelo parla della volontà condivisa di «occupare un vuoto», contro «l’eterna ripetizione dei classici» che già Eduardo temeva. Il progetto è quello di una «rete di opportunità affinché la drammaturgia possa essere letta, compresa e accompagnata alla messinscena». Il modello è quello estero di centri omologhi, con i quali si auspica uno scambio continuo per il confronto, la diffusione e la messinscena, oltre all’impresa di traduzione incrociata. Le attività che verranno attivate comprendono la catalogazione delle opere drammaturgiche in «un archivio vivo che dialoghi con enti di produzione e distribuzione, custode di una memoria ma anche orientato al futuro». La promozione della drammaturgia in Italia e all’estero e insieme la pressione e la sensibilizzazione verso le istituzioni, allo scopo di ricreare una vera e propria committenza intorno alla scrittura teatrale che, recita il documento firmato dagli autori, “è una professione altamente specializzata e, in quanto tale, richiede una formazione che si potrebbe a giusto titolo definire permanente”. C’è ovviamente il progetto di pubblicazione dei nuovi testi, compito intrapreso in maniera non strutturata da più di un singolo – vedi Alberto Bassetti, drammaturgo a sua volta e direttore artistico del teatro Lo Spazio di Roma.
Arriva molto presto – prima ancora che venga rivolta alcuna domanda – la risposta alla questione dei finanziamenti (contributi Fus, Ministero ed Enti locali) e l’espressione di una posizione a favore del welfare di settore, tra la stila di un codice etico e la ratifica di un contratto collettivo. Questa «casa della drammaturgia» promette di avere spazio per offrire formazione e addirittura una finestra sul mondo dell’istruzione e apre le porte ad autori anche televisivi, radiofonici e cinematografici, su tutto il territorio nazionale. Per ora sono presenti coordinamenti regionali per Lazio, Liguria, Toscana, Lombardia, Sicilia e Puglia e le associazioni coinvolte ad oggi sono Anart, Assteatro, Dramma.it, Outis, Siad, Sns e Teatro delle Donne.
In rappresentanza della compagine milanese è presente Renato Sarti, per il quale non è tanto «importante quello che raggiungi, ma quello che lasci»; dopo anni passati a «bussare alle porte fino a sanguinare» e in attesa di un incontro già fissato con l’amministrazione comunale meneghina, è forte la speranza di poter costruire per il futuro una condizione migliore di quella del passato prossimo o del presente. Longoni ci tiene poi a ricordare come tra un gruppo che sembra formato da «cani sciolti» è invece annoso il tentativo di collaborare. Ed è questo un insieme non di soli intellettuali e scribacchini, ma di «persone di spettacolo che conoscono le arti del palcoscenico». L’intervento entusiasta dell’assessore alle Politiche Culturali e al Centro Storico di Roma Capitale, Dino Gasperini, promette spazi e attenzioni, come se davvero ci si potesse credere. Di certo, in attesa di conferme effettive, il tutto non può che vestire i panni di una mobilitazione di categoria, non ancora sufficiente alla defibrillazione di un sistema, che – ormai abbiamo imparato – avviene per passaggi chiave, molti dei quali sono di carattere burocratico.
Arriva poi la fatidica domanda riguardo ai rapporti con il Teatro Valle, che sembrava dovesse sì diventare il centro della drammaturgia nazionale. È proprio Longoni a chiudere la questione con un semplice: dopo mesi di studio – la prima riunione fu proprio a giugno 2011 – «le nostre strade hanno preso diverse direzioni. Il Valle non voleva – specifica il drammaturgo – fondare un centro di drammaturgia, bensì un teatro con vocazione drammaturgica». Possibilista è la chiosa, che non esclude il futuro riaccostarsi di queste due parallele.
E intanto ai grandi assenti sottolineati da qualcuno in sala (Celestini, Russo) ai quali aggiungeremmo, tra gli altri, Calamaro e Santeramo, si affiancano i “grandi presenti” (Chiti, Fo, Maraini), anch’essi sottolineati a dovere, stavolta dal palco. Come dire che «questo non è un censimento, chi non è convinto si convincerà, oppure, amen, non ci sarà», sorride proprio Longoni, ma un appello che avvalori il tutto è sempre bene farlo. Perché non si dica, poi, “ma quanti di questi 120 autori ho avuto occasione di applaudire?”.
Ecco, proprio accostando a questa frase una identica ma con verbo declinato al futuro ci permettiamo di chiudere questo piccolo resoconto.
Sergio Lo Gatto
solo per chiarire che il centro nasce da una discussione tra gli autori (tantissimi autori) che dura da almeno 8 mesi e che è stata ampiamente pubblicizzata (m-list e/o forum su dramma.it) e che quindi gli assenti, grandi o piccoli che siano, evidentemente avevano voglia di esserlo. Non è che si possono “pregare” le persone ad esserci per forza
Esattamente.
E dalle parole di Longoni riportate in virgolette mi sembra che emerga con evidenza