“Insomma, si riconosceva in quella donna la fanciulla che un niente aveva trasformato in cortigiana, e la cortigiana che un niente avrebbe trasformato nella fanciulla più innamorata e più pura”. Al Teatro dell’Odeon in queste settimane e fino al 4 febbraio 2012 è programmato uno spettacolo che fa scalpore tra il pubblico parigino: La dame aux camelias, tratto dal romanzo di Dumas conosciuto soprattutto grazie alla trasposizione in musica di Giuseppe Verdi nella Traviata, che venne rappresentata per la prima volta al Teatro della Fenice il 6 marzo 1853. Nell’opera musicale Marguerite Gautier assume il nome di Violetta Valery. In questo caso si tratta di un adattamento drammaturgico dal testo di Alexandre Dumas che racconta la storia di Marguerite Gautier, una cortigiana borghese rinomata nella buona società, amante del teatro e innamorata del giovane Armand. La vicenda amorosa è costituita da due fasi opposte: nella prima Marguerite è il personaggio principale e vincente, che malgrado la sua professione sembra riuscire a raggiungere una felicità borghese. Nella seconda Marguerite sacrifica sé stessa per preservare la buona reputazione del suo amante e finisce per morire sola e coperta di debiti. In realtà questo testo rappresenta per Frank Castorf solo un pretesto per iniziare un processo di decostruzione del romanticismo di Dumas, grazie alla comparazione con La storia dell’occhio di Georges Bataille e La missione di Heiner Muller. Questi ultimi donano allo spettacolo un tono provocatorio, comico e feroce insieme.
È difficile recensire questo spettacolo senza sminuire la sua forza scenica. Questa complessità è dovuta all’assenza di un processo narrativo lineare: un’immagine si succede all’altra, ogni azione smentisce la precedente, ogni attore interpreta personaggi differenti, tratti dai testi dei tre autori. Amore, trasgressione e tradimento donano il ritmo allo spettacolo, mescolando epoche e vicende. Quest’allegro pastiche sconvolge senza spiegarsi. Uno degli elementi che resta allo spettatore per decodificare il senso della creazione è senza dubbio la scenografia. Il palco è costituito da due parti, poste su un enorme disco che gira su sé stesso, due universi antitetici e al contempo complementari coesistono sulla scena: uno squarcio di bidonville con tanto di pollaio e vere galline, toilette decadenti e una cucina improvvisata; dall’altra parte un luogo asettico pieno di luci, lussuoso e kitsch. Un’enorme colonna di metallo – sulla quale si scorgono le scritte ANUS MUNDI e GLOBAL NETWORK – domina queste due parti, rinforzando l’idea di una società in balia della pubblicità e del consumismo.
Castorf, regista tedesco nato nella RDT, è da sempre affascinato dal tema della trasgressione, intesa come ossessione che permette di sorpassare l’interdizione. I personaggi che predilige sono quelli che scelgono ciò che non devono scegliere. Per interpretarli Castorf ha scelto degli attori con una forte presenza scenica come Jeanne Balibar, che interpreta meravigliosamente la madre severa e incestuosa di Armand, o la perturbante Claire Sermonne, che incarna una Marguerite superba. Nonostante gli innumerevoli pregi di questo spettacolo ogni sera quasi la metà del pubblico abbandona la sala, scontenta e irritata, di fronte a scene considerate al limite del pornografico.
Camilla Pizzichillo
In scena fino al 4 febbraio 2012
Visto al Teatro dell’Odeon
Parigi
La Dame aux Camelias
tratto dal romanzo di Alexandre Dumas (figlio) e da La Missione di Heiner Muller e da La storia dell’occhio di Georges Bataille.
Regia di Frank Castorf; con Jeanne Balibar, Jean-Damien Barbin, Vladislav Galard, Sir Henry, Anabel Lopez, Ruth Rosenfeld e Claire Sermonne; drammaturgia Maurici Farré;
scene e costumi Aleksandar Denic e Adriana Braga;
luci Aleksandar Denic e Eric Argis; editing audio e video Dominique Ehret e François Gestin.
Per me e per le persone con cui ero all’Odeon una decina di giorni fa, uno degli spettacoli più brutti (volgarità multipla e moltiplicata nei varii livelli di scrittura dello spettacolo, visone estetica dozzinale) e perversi visti negli ultimi 15 anni.
La perversione non consiste tanto nel perseverare nel mostrarci praticamente per 3 ore la povera Claire Sermonne (mia amica e bravissima) che geme per ore e per diverse ragioni tutte intrinseche alla CONDANNA di essere donna (geme nei primi 35 minuti di spettacolo perché sta morendo di parto/ geme incastrata sotto un letto con un attore sopra e filmata da 3 tecnici e rimbalzata su un mega schermo per circa 20 minuti all’inizio del secondo tempo/ ecc..). Lo spettacolo è perverso perché manipola lo spettatore, perché gli fa credere, grazie ai diversi e indigesti livelli della drammaturgia e della regia, che sta guardando uno spettacolo caledeoscopico, profondo, alla vertigine del desiderio dell’uomo per la donna.
La drammaturgia elaborata da Castorf (non ho controllato se ha un drammaturgo) è semplicemente indigesta. Il lavoro video francamente ridondante e inutilmente pop. La sola cosa vagamente interessante (però BASTA!!!) rimane il meta-discorso, cioè guardare i tecnici-che-in-scena -filmano quei poveretti che gemono/ Così come rilevare cosa lega le scelte musicali (bravissima la cantante) al senso profondo del lavoro (niente di trascendentale nemmeno questo, direi ma almeno fa passare il tempo). E la gente NON abbandona la sala perché lo spettacolo sarebbe semi-pornografico – come afferma la giornalista che ha scritto la critica – …figuriamoci se i francesi hanno paura della pornografia, anzi, sarebbero i primi a eleggerla a elevato oggetto letterario/artistico se necessario. la gente se ne va perché il dispositivo è brutto, gli attori biascicano un testo il cui senso resta veramente ma veramente “basic” checché ne dica Castorf che parla addirittura di “mito” di Marguerite, “mito della donna desiderata”. Tanto rumore davvero per NULLA
La Dame aux camelias di Castorf infadisce una parte del pubblico perché non offre allo spettatore un senso confortevole e abbordabile. Credo che la volontà del regista sia proprio quella di ridicolizzare lo pseudo intellettualismo che malauguratamente affligge il mondo del teatro. Quest’approccio serioso e piccolo non si può certo accontentare della poesia e della comicità, si sforza quindi di trovare un senso, un significato. Capisco la rabbia di questo spettatore che ha resistito fino alla fine sperando in una rivelazione e non accontentandosi di ridere e di approfittare della bellezza e della malinconia che questa composizione evoca.
Castorf ama esagerare, giocare con il grottesco e non da nessuna chiave di lettura allo spettatore: è un teatro dominato dal caos e da un’allegra ironia ma non è per questo motivo inutile, volgare o pedante. Del resto la presenza dell’opera di Bataille non è un caso.