Debutta il 5 Novembre, al Teatro Bonci di Cesena, il nuovo tour teatrale di Aidoru, dal titolo Songs canzoni_Landscapes paesaggi: concerto per immagini, parole e sagome di cartone. Un progetto complesso pensato per la scena teatrale, che vede protagonisti non solo i suoni e le musiche creati dal gruppo (in scena Dario Giovannini, Mirko Abbondanza, Michele Bertoni e Diego Sapignoli) ma anche poesie e testi di Roberta Magnani, animazioni e disegni di Virginia Mori, i video di Daniele Quadrelli e le azioni performative di Leonardo Delogu. Ad un giorno dall’apertura del tour ne abbiamo parlato con loro, cercando di penetrare dentro la costruzione di tale paesaggio.
Songs canzoni_Landscapes paesaggi fonde progetti differenti all’interno di un unico format spettacolare. In che modo avete lavorato sull’integrazione di questi orizzonti artistici?
Dario Giovannini: Il progetto nasce dal booklet che accompagna il nostro disco. Attraverso questo oggetto cerchiamo di guidare l’ascoltatore in un percorso emotivo ed evocativo strutturato attraverso i testi di Roberta. Non si tratta di un accoppiamento forzato tra musica e parola. Nell’album non c’è nessun testo recitato o cantato. Diamo solo la possibilità di aprire il libretto e leggere una poesia mentre si ascolta la musica.
Perché le poesie sono nate proprio insieme alle composizioni sonore. Roberta ci ascoltava durante le prove, quindi ci donava delle parole e a partire da queste noi continuavamo a scrivere la musica. Lo spettacolo che presentiamo nasce proprio da qui. Abbiamo sentito l’esigenza di unire alla musica la messa in scena di quei testi e di inserire in questo percorso delle immagini video. Abbiamo sperimentato con Daniele questa ulteriore modalità per TTV a Riccione, esattamente un anno fa. Si è aggiunta, infine, anche Virginia con i disegni e le animazioni video.
L’idea di paesaggio, oltre ad essere il tema dello spettacolo, caratterizza anche la sua struttura?
Dario Giovannini: La struttura dello spettacolo è molto paesaggistica. Escludiamo la possibilità di una trama in maniera scontata. Certo è che molte persone pensano ancora al teatro come a una narrazione, ma in questo spettacolo, come nella nostra musica, tutto nasce dall’analisi della forma paesaggio. Un’evoluzione armonica naturale ma non necessariamente consecutiva.
Roberta, leggendo i tuoi testi – che saranno pubblicati, insieme ai disegni di Virginia Mori, nel libro Songs_landscapes edito da Kobris nella collana contemporanea – ci si ritrova a contemplare un paesaggio naturale meraviglioso e al contempo piccolo, delicato. Sembra di ritrovarsi dinanzi al recupero di un’organicità, di un’unità che l’umano ha perduto. Infatti solo le architetture umane crollano (penso alla poesia Camminare sulla Frana). In quale chiave analizzi i rapporti tra natura, uomo e paesaggio?
Roberta Magnani: Gli Aidoru mi hanno chiesto di non esprimere delle opinioni ma di comporre partendo dal flusso sonoro. Non è stato facile. Dovevo trovare una modalità di scrittura partendo da immagini musicali. Mi è stato inoltre chiesto di parlare di paesaggi e di canzoni. Di costruire dei testi che avessero un’aderenza molto forte agli intenti del disco. Ho pensato ad un paesaggio capace di invadermi l’occhio, l’udito, l’ascolto, di conquistare il sentire di un uomo, quasi dominandolo. Solo successivamente è nata l’esigenza di soffermarsi sull’elemento umano. L’incontro con Leonardo ha comportato delle trasformazioni radicali nei confronti delle parole scritte per il libretto. Perché ora l’umano era effettivamente in scena, era il corpo performativo, era le sagome di cartone che abitano lo spazio scenico durante lo spettacolo…
Quando nelle poesie ho affrontato anche questa figura, questo tema, ecco che si è inserita una dose di catastrofe. Non voglio però che l’uomo assuma una valenza negativa. Analizzo questa tensione e la sua capacità di costruire qualcosa di bello ma anche di tremendo. Ci sono dei versi che riassumono questa ambivalenza:
“E tu… tu vuoi
vuoi distrarmi albero e trasformarmi l’occhio in luce
vuoi passero bello starmi a guardare dal ramo
io, il ramo spesso lo spezzo”. (Da Io amo i gesti quotidiani)
.
Anche la creazione dei disegni è avvenuta attraverso questo annodarsi di intenti, o i percorsi sono stati paralleli?
Roberta Magnani: Rispondo per Virginia. I suoi disegni sono nati da alcuni testi che ha sentito in sintonia con la sua poetica. Durante le prove, poi, osservando il suo lavoro, alcune parole dei testi sono state cambiate. Possiamo dire che la creazione è avvenuta attraverso questo scambio.
E il video? Come si è inserito nel lavoro?
Daniele Quadrelli: Sin dall’inizio ho costruito i video basandomi sul flusso sonoro del disco e della performance live. Con Virginia non c’è stata invece una collaborazione pratica, ognuno di noi ha lavorato singolarmente sul proprio progetto, ma c’è stato un grandissimo confronto di base teorica.
In che modo affronti il tema del “paesaggio”? Come attraversi dimensioni evocative, emotive e descrittive?
Daniele Quadrelli: L’utilizzo del video all’interno dello spettacolo è molto vario. In certi momenti l’immagine ha una forte valenza scenografica, si integra alle luci e alle figure in scena. In certi momenti, invece, assecondando il flusso sonoro, quelle stesse immagini costruiscono un vero e proprio racconto, assumono una valenza autonoma.
La voce, in questo caso quella di Leonardo Delogu, è pensata come elemento musicale? Che ruolo ha l’attore all’interno dello spettacolo?
Dario Giovannini: La performance di Leonardo si inserisce nello spettacolo in maniera particolarmente sonora come un contrappunto alla musica. Leonardo nello spettacolo è una figura imponente, significativa. Una figura con la quale, ad un certo punto, abbiamo dovuto necessariamente fare i conti. Presto il luogo dell’ascolto è diventato il luogo della visione. Abbiamo sentito l’esigenza di sottolineare la presenza corporea del performer perché il suo corpo potesse essere sentito dallo spettatore come vero all’interno di una scena vera, di un paesaggio vero che si va costruendo sul palcoscenico.
Anche le sagome di cartone che abitano questo spazio hanno una funzione performativa o sono puro elemento scenografico?
Dario Giovannini: Le sagome hanno un valore di archetipo. Sono dei burattini, delle figure retoriche, delle maschere. Sono la generalizzazione di determinati elementi del paesaggio o della nostra idea di esso. All’interno di questo paesaggio stilizzato, queste figure che sono assolutamente evocative e assolutamente universali, assumono dei ruoli specifici.
Che significato date, nel titolo, al termine “canzone”? Come avete affrontato tale struttura?
Dario Giovannini: Per canzone non si intende la composizione musicale che tutti conosciamo. Piuttosto ci riferiamo a qualcosa che si avvicina maggiormente ad una logica umana o umanistica di costruzione drammaturgica in contrasto al paesaggio che vuole essere sempre elemento dilatato e sospeso. Etichettiamo come canzone tutto ciò che si può riconoscere facilmente.
In che modo il concerto Songs canzoni_Landscapes paesaggi si inserisce nell’ambiente teatrale?
Dario Giovannini: La commistione dei linguaggi in questo spettacolo è finalizzata alla costruzione di una logica paesaggistica all’interno del teatro. Si tratta di teatro perché abbiamo scelto di situare il nostro lavoro in questo luogo in quanto più idoneo ad accogliere un’unione di così tante discipline.
Uno spettacolo, dunque, che si situa nel limen che separa il teatro dal concerto?
Dario Giovannini: A noi non importa in quale disciplina veniamo classificati. Avevamo degli elementi, volevamo creare qualcosa con questi elementi. Per farlo abbiamo scelto questo luogo. sarebbe più logico non parlare di confine ma di universalità. Lo schema teatrale è già stato abbattuto tanti anni fa. Creiamo lo spettacolo in questa determinata dimensione artistica. Continuo a chiamarlo “spettacolo” perché vorrei che l’abbattimento dei confini tra i generi artistici fosse qualcosa di appreso.
Matteo Antonaci
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