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Lo zoo di vetro alla Casa delle Culture. Fragilità di un teatro illustrativo

in foto: Elisabetta De Palo, Danilo Celli, Valentina Marziali e Giulio Cristini.

Quante volte su queste pagine ci siamo spesi nell’affermare l’impossibilità di messa in scena dei grandi classici senza un intervento artistico. C’è bisogno di un’azione forte e coraggiosa di un interprete, ovvero di un regista, che prenda la pagina scritta e ne codifichi il contenuto in un linguaggio scenico adeguato al nostro tempo. Certo, è un discorso appartenente al dibattito novecentesco direte voi, eppure capita ancora oggi di avvicinarsi a spettacoli coraggiosamente e indefessamente illustrativi. In queste messe in scena il lavoro del regista, più vicino a quello del capocomico di una volta, si limita a lavorare sugli attori senza creare quel codice linguistico che dovrebbe fare da tramite tra il testo letterario e il pubblico di oggi. È una pratica abituale per alcune compagnie “di giro” prodotte dagli stabili. In questo caso il lavoro sugli attori, quando sono di talento ed esperti, riesce almeno a far rivivere sulla scena parole ed emozioni di altri tempi, affermando quell’agognata universalità che ogni volta viene sbandierata ai quattro venti a proposito di certi classici. Ma quando non tutti gli interpreti sono all’altezza del cosiddetto metodo allora ecco che diventa ancor più lampante l’assunto da cui siamo partiti.

Questo discorso oggi torna prepotentemente all’orizzonte non solo perché il teatro paga il prezzo di essere inteso da molti come lo scantinato del cinema o ancor peggio della televisione, mezzi nei quali realismo e fedeltà letteraria sono ancora cardini inamovibili dell’espressione artistica popolare, ma anche perché vi è un accesso pressoché antimeritocratico ai palcoscenici di città come Roma, dove gli 80 e più spazi permettono di entrare nelle stagioni teatrali con estrema facilità per chi vuole “diversificare i propri investimenti” o crearsi un hobby antieconomico per natura.

Alla Casa delle Culture, spazio dove era capitato di avvistare interessanti riscritture (basti pensare all’Amleto-Pinocchio di Fortunato Cerlino di un paio di anni fa) è in scena Lo zoo di vetro di Tennessee Williams. Incapace di resistere al fascino della drammaturgia americana, teso all’ascolto e preparato anche alla più accademica lezione di realismo, mi sono diretto verso il teatro trasteverino, proprio dall’altra parte della strada rispetto a quell’Argot nel quale Andrea Cosentino come un mago dal cappello magico faceva saltar fuori l’ennesimo coniglio: una divertentissima e contemporanea Fedra (recensione).

Il testo di Williams, scritto nel 1944, è una complessa struttura di caratteri che si agitano sullo sfondo di una crisi epocale, quella americana del ’29. Un collasso economico che non entra nel dramma da protagonista esplicito, ma agisce sotto pelle, tra le pieghe del testo, determinando comunque l’esistenza della famiglia. Padre fuggito ormai da tempo, figlio aspirante poeta costretto a lavorare in un calzaturificio, sorella quasi zoppa senza più aspirazioni e progetti, madre nell’occhio del ciclone. Tutti vivono accerchiati dai propri fantasmi, il passato da ricchi latifondisti del sud e l’impossibilità di migliorare la propria situazione li tengono chiusi in un presente senza scampo. È vero che Williams nasconde tutto il dolore sotto una patina di leggerezza, ma è pur vero che Lo zoo di vetro è anche una commedia alla Cechov dove i personaggi trattengono il proprio presente nella prigione del passato, il tragico è perciò nell’incapacità del quotidiano di compiersi. Anche per questo Tom, il figlio, seguirà i passi del padre, per fuggire da un presente destituito della propria funzione. Non a caso è lui il narratore, l’unico che può attraversare i tempi della fabula per restituirci l’intreccio della sua memoria. Nello spettacolo della compagnia Scripta Volant se escludiamo Elisabetta De Palo, capace di calarsi nei panni dell’allegra e mai vinta donna del sud, i giovani che le sono accanto, mancanti di quel mestiere, non sopportano il peso di personaggi così complessi e inevitabilmente cadono nella trappola del cliché e della didascalia.

Andrea Pocosgnich

in scena fino al 4 dicembre 2011
Teatro Casa delle Culture [stagione 2011/2012] Roma

Lo zoo di vetro
viene presentato per gentile concessione della “University of the South, Sewanee, Tennessee”
di T. Williams produzione SCRIPTA VOLANT con Elisabetta De Palo
e con Danilo Celli, Valentina Marziali, Giulio Cristini
Scena e Costumi Stefano Cioncolini
Musiche Pericle Odierna
Regia Salvatore Chiosi

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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