Radici. Quando si guarda un albero non ci si pensa mai: dalle foglie in alto ai rametti poco sotto di loro, pian piano si addensa e s’irrobustisce un fusto più consistente, fino al tronco imponente e teso nella postura più stabile che possa, per tenere tutto in piedi, nello stesso abbraccio. Ma quel che si vede non è mai tutto. Sotto quel monumento alla natura che resiste c’è un fascio di nervi che spinge lontano, si incunea nella terra fino alle falde più lontane. Quell’albero nel mondo di sopra non sarà mai senza quel mondo di sotto. Di queste radici è fatto Paolina, il nuovo spettacolo di Teatro dei Dis-occupati, scritto, diretto e interpretato da Massimo Cusato, con l’aiuto di Monica Crotti.
Cusato e Crotti sono una coppia, hanno da poco avuto un figlio che si chiama Andrea. No, non è mero biografismo. Nella loro storia artistica tutto questo entra come materiale inscindibile dal lavoro della scena: in occasione di questa nascita Cusato ha avuto in sogno questo spettacolo per il figlio, affondato nell’assenza presente di nonna Paolina, attraverso di lui capace di raggiungere questo primo pronipote che non ha avuto il tempo di conoscere. Ma il teatro esiste per questo, riportare all’oggi quel che ieri s’è fermato. Così il monologo di nonna Paolina si installa dentro l’attore Cusato, che con lei è cresciuto e al quale ha raccontato molte storie – fiabe popolari – che il senso della trasmissione evolutiva vuole consegnare al nuovo, per ripercorrere il passato nella tensione al futuro.
Il monologo si articola dunque dalla tradizione consegnata fino ai giorni nostri, secondo le stesse parole che dalla nonna giungono a noi. Paolina è in Purgatorio e gode di un permesso speciale per scendere sulla terra e raccontare le sue fiabe al neonato, affinché si addormenti. Per farlo usa il corpo del suo nipote, padre del piccolo. Così Cusato si veste da nonna, con la borsetta davanti al ventre, il cappottino spigato, le scarpe con i tacchi e due orecchini a clip, minuti e preziosi: ma non smette di essere lui, è ampiamente espresso il gioco dei passaggi generazionali che si sciolgono nel calore familiare miracolosamente diffuso nei corpi e nelle anime di chi ne fa – o ne ha fatto – parte. Tema dello spettacolo è dunque il racconto, la qualità che è tutta degli uomini di conservare e ripetere insegnamenti morali e memorie intime. La resa scenica di Cusato è calorosa e giustamente forte di quella voce che gli viene dalla sua infanzia, ma non abbastanza da bucare la necessità personale e renderla collettiva; si serve di due fiabe (su sette complessive registrate dalla viva voce di sua nonna nel 1998) che sono una declinazione artisticamente minore di fiabe popolari celebri (che hanno ricevuto lustro, tra gli altri, dal Celestini di Cecafumo, come il dialogo di Giufà e la morte, nella corte di Re Salomone, e l’avventura di Giufà con il secchio di rame). Il problema dunque è che, sia pur grande il desiderio e l’urgenza del loro “family theatre”, in questo caso la costruzione della drammaturgia e dello spettacolo tutto risente dell’intero corpo intimo, di una materia che incanta sé stessi ma che non è sciolta in una traduzione scenica di particolare interesse artistico, quindi che non genera oltre sé quello stesso incanto. Insomma, le radici sono il motivo perché l’albero esista e stia ritto a determinare nei cerchi del proprio tronco il tempo che passa, ma se si decide di portarlo in scena c’è bisogno di tutto il suo rigoglioso verdeggiare.
Simone Nebbia
in scena dal 24 al 27 novembre 2011
Teatro Abarico
Roma
Paolina
Scritto, diretto e interpretato da Massimo Cusato
una produzione Teatro dei Dis-occupati
peccato non poterlo vedere!
io ne ho visto uno studio lo scorso anno (un 20 min scarsi) e l’ho trovato molto molto bello…
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