Fuori città. Quando si fa astringente il nucleo in cui la vita urbana sembra stritolare, asfissiare i suoi abitanti, certi respiri più lunghi e distesi si vanno a cercare in uno spazio più lontano, dove s’irraggiano cioè gli affluenti d’asfalto in un moto di controcorrente, attraversano rotatorie e strappi di paesaggio, finché giungono in certe misteriose escrescenze di centri abitati, dove come uno scoglio nell’acqua, come una stazione di posta, è urgente e necessario far nascere un teatro. Atlante allora si sposta questa settimana a Bologna, o poco lontano, a San Lazzaro di Savena dove la compagnia del Teatro dell’Argine ha ottenuto e dirige uno spazio importante come l’ITC.
Dal 1994 in cui fu fondata l’associazione, nata dall’incontro di una ventina di artisti decisi a costituirsi perché avesse maggiore risalto il loro progetto artistico, oggi il Teatro dell’Argine rappresenta un’esperienza nobile e con una prospettiva storica cui far riferimento, radicata in un ambiente artisticamente vivo di una regione che da queste parti vive un confine fra l’Emilia e la Romagna, riunite dalla politica amministrativa e da un trattino che le continua indissolubilmente a legare. La loro avventura di palcoscenico – che ha prodotto molti spettacoli tra cui Odissea e Italiani Cìncali! vincitori con Mario Perrotta di numerosi premi – si arricchì poi nel 1998 con l’acquisizione tramite bando della gestione di questa sala teatrale da 220 posti allora appena ristrutturata, l’ITC appunto, perché potesse diventare un centro di produzione legato alla drammaturgia italiana contemporanea, esplorando linguaggi e tematiche diverse da sviluppare nell’arte scenica. Dal 2000 poi, la direzione affidata a Nicola Bonazzi, Pietro Floridia e Andrea Paolucci, che sono tra i fondatori della compagnia, ha prodotto il riconoscimento ministeriale e l’affermazione anche oltre i confini nazionali, anche se è nel lavoro sul campo che si distingue l’impegno di questo gruppo, ad oggi formato da 25 persone, promotore di laboratori e di importanti progetti legati alla collaborazione con le scuole e con il territorio.
Così quando la macchina si arresta dopo aver infilato rotatorie come un cordino nella cruna, con quel gesto sapiente di allontanarsi dal centro e curvare fino a tornare sulla direttrice, il teatro è dietro un blocco di palazzine, quasi non visto, quasi pudico, sempre sul retro di qualcosa: un tranquillo teatro di una campagna che il freddo secco dello spazio aperto mi dice essere non poco lontano da qui. Dentro è quasi l’ora di questa pantomima in due atti di Gianni Celati dal titolo Bollettino del diluvio universale (testo pubblicato su Elephant & Castle nell’aprile 2010), con regia proprio di Nicola Bonazzi: quattro attori e un manichino sulla spalla del Dirigente che si ripara qui come gli altri dal diluvio universale, ossia l’economia e il potere del capitalismo che perdono quota e invadono tutto dello stesso scroscio devastante; in questo sotterraneo c’è la gente che cerca di capire se da questo diluvio devono salvarsi o auspicare che arrivi. Questo sotterraneo però, da testo, è proprio un teatro, dunque il gioco della rappresentazione che in commedia nidifica un timore tragico della fine imminente. Ha senso, si chiedono, fare questa commedia? Restare qui chiusi in questo teatro di campagna “che non è mai esistito”, mentre fuori c’è tutto questo sfacelo? Sembrano dirsi: ci salva davvero restare qui? Fare commedia per i nostri occhi piuttosto che lasciarci invadere ma con piena impetuosa verità? In questo è l’accusa agli artisti e ad essi un atto d’amore. Mi distraggo un attimo da questo divertente spettacolo grottesco e circense, così capisco che ha senso restare in questo teatro di campagna, proprio per il viaggio appena fatto come per il viaggio che farò a ritroso, a spettacolo finito. È andata e ritorno, vedere e raccontare, il viaggio fuori città.
Simone Nebbia